Il 1° Aviere Antonio Trevigni M.O.V.M. quasi “asso”
La Medaglia d’Oro al Valore Militare
“Assalito da numerosi caccia durante un’azione contro unità navali, colpito ad una spalla, con una gamba maciullata da una pallottola esplosiva e l’altra spezzata, incurante dell’atroce dolore per le gravissime ferite, avvinghiato in magnifico slancio alla sua arma, persisteva nel fuoco abbattendo con precise raffiche due caccia avversari.
Rifiutando poi il soccorso che gli volevano portare i compagni di volo, li invitava a non preoccuparsi di lui, ma solo del nemico. Si trascinava quindi al posto di pilotaggio per manifestare al comandante la sua gioia per l’esito del tiro. All’ospedale sopportava con romana fierezza e stoico coraggio la amputazione della gamba dicendosi soltanto fiero e lieto di aver potuto compiere tutto il suo dovere verso la Patria. Cielo del Mediterraneo, 17 agosto 1940”.
Fu durante una delle numerose azioni di bombardamento navale dell’estate del 1940 che un Gruppo dello Stormo rifulse di valore rivelando uomini di tempra mirabile ed addestramento perfetto (1).
Nella mattina del 17 agosto 1940 un fonogramma del Comando della 5ª Squadra notificava che una grossa formazione navale nemica di cui faceva parte anche una portaerei, aveva effettuato all’alba un intenso bombardamento su Porto Bardia e stava ora ripiegando verso Alessandria a poche miglia dalla costa egiziana. Due squadriglie (2) partirono immediatamente dirigendo al largo di Sidi El Barrani, presunto punto d’incontro con le unità navali. Il cielo era per nove decimi coperto: i velivoli del 15° “bucarono” portandosi al di sopra delle nubi.
Quella morbida distesa di candore su cui slittavano le macchine non poteva certo far pensare che tra poco si sarebbe svolto un terribile carosello aereo. Ecco, ora si vedevano, tra i rari squarci delle nubi, delle porzioni di mare. Si sarebbe — in tali condizioni — avvistata la flotta.
Le due squadriglie avanzavano in ala destra di cunei molto serrati: sembravano due soli apparecchi in pattuglia.
Ad un tratto, dal velivolo del Capo formazione fu esposta ed agitata freneticamente la bandierina verde che nel nostro linguaggio convenzionale significava: “obiettivo in vista: prepararsi al tiro”.
I capi-equipaggio guardarono rapidamente verso il mare che le nubi ormai più rade lasciavano vedere in larghi spazi. Oltre i musi dei motori, laggiù in basso, si scorgevano infatti le già familiari strisce di spuma.
Gli uomini raggiunsero subito i posti di combattimento, la squadriglia di destra si era appena portata in ordine di colonna per apprestarsi allo sgancio quando una trentina di Gloster (3), suddivisi in pattuglie di 3 o di 5 calarono repentinamente in forte picchiata sulla nostra formazione. Ma la sorpresa fu breve: dai 10 S79 partì una violenta reazione di fuoco.
I bombardieri italiani, con la loro tenacia ed il loro inflessibile coraggio hanno ormai consacrato per i futuri testi di guerra aerea la nobile legge di una tradizione che non verrà mai meno. Tale legge sarà così enunciata “Dato un obbiettivo, qualunque sia l’ostacolo che si opponga al suo bombardamento, gli equipaggi italiani non torneranno indietro. Essi giungeranno ad ogni costo su di esso con l’indomita volontà di colpire”. E il gruppo del 15°, pur sotto l’infierire rabbioso di tutti quei velivoli, marciò inesorabile sulla flotta nemica e sganciò le sue 100 bombe.
Il tiro non fu osservato: c’erano mitragliatrici per tutti sui “79”, ma erano pur sempre poche contro tanti avversari; bisognava servirsene immediatamente, i cacciatori nemici attaccavano da tutte le parti, dall’alto in basso e dal basso in alto, di fronte, in coda, sui fianchi. Le 12,7 lavoravano splendidamente. Due Gloster che avevano attaccato in coda la prima formazione, furono fulminati dai fuochi incrociati di più armi dorsali e parvero sgangherarsi nell’aria in un pazza risata di fiamme. Frattanto la formazione, già duramente bersagliata, virava verso Nord puntando il mare aperto, sempre efficacemente inseguita da quello sciame di Gloster.
Il Gruppo era una vera fortezza irta di mitragliatrici che sparavano incessantemente da ogni lato. Tre uomini per ogni equipaggio, i denti stretti in una tensione spasmodica e gli occhi roteanti nello spazio, erano divenuti un sol corpo con le armi. Un terzo Gloster dopo aver sparato alcune raffiche sull’apparecchio di punta della seconda squadriglia fu liquidato durante la richiamata. Rimase per un istante agganciato ad un invisibile chiodo piantato in una nube, poi scampanò di schianto tra le due formazioni mentre un piccolo uomo, come uscito da una prodigiosa scatola a sorpresa, scavalcava in un balzo angelico i velivoli seguito dalla fiamma del suo paracadute. In quell’attacco, il capo pattuglia ebbe il motore destro paralizzato e due specialisti feriti.
Perse velocità ed anche i gregari la ridussero per non lasciarlo in balia degli assalitori. Ed ecco, l’ultimo pattugliere destro che era, durante una virata, rimasto leggermente staccato, subire i rabbiosi attacchi di cinque apparecchi. Ma a bordo di quello vi era un eroe, se consentito che con tale epiteto si qualifichi un uomo che, pur raggiunto da innumeri colpi che gli troncarono la gamba al di sotto del ginocchio, gli frantumato in parte la tibia dell’altra e gli ferirono una spalla, rimane imperterritamente inchiodato all’arma e riesce ad abbattere tre avversari ed a fugare i superstiti.
Il drammatico combattimento aereo durò all’incirca 10 minuti, dieci eterni minuti densi di vicende e di ardimenti. Il bilancio si chiudeva con un nostro attivo schiacciante 9 caccia + 2 probabili abbattuti! I “79” invece — seppur ridotti trasparenti da migliaia di colpi— rientrarono tutti in territorio nazionale. Fu solo alla fine del combattimento, quanto i Gloster superstiti scomparirono verso sud, che l’Ufficiale, che aveva manovrato fino allora la mitragliatrice centrale, si accorse dell’aviere Trevigni seduto nel corridoio in una pozza di sangue.
L’eroico armiere ai reggeva ancora con un braccio insanguinato al brandeggio della sua arma vittoriosa e guardava sorridendo l’Ufficiale. Aveva ancora negli occhi dilatati la esaltazione feroce della lotta e pareva non accorgersi che la sua gamba spezzata era volta col polpaccio in alto in una posizione impossibile e riversava sulla lamiera ondulata fiotti di sangue. Si lasciò stringere la coscia con una cinghia poi, come ricordandosi di qualcosa d’urgente, si trascinò con forza disperata verso la cabina di pilotaggio incurante dell’arto che rimbalzava appartenendogli ormai ancora per qualche brandello di pelle e di carne. Tra lo stupore incredulo dei compagni di volo, giunse strisciando fino al posto di pilotaggio e, tirando per i pantaloni il capo equipaggio, gli gridò pieno di calore: “Signor Tenente tre…tre ne abbiamo buttati giù” (4).
Il Tenente atterrò sul più vicino campo della costa: pareva impossibile che quell’uomo potesse sopravvivere dopo una così abbondante perdita di sangue. Eppure Trevigni non perse coscienza un solo attimo. Quando lo calarono dall’aereo e lo adagiarono su una lettiga, si contemplò quella povera gamba ormai morta e disse tranquillamente, con l’aria di fare una banale osservazione: “bisognerà che me la taglino subito” e rivolto ad un collega che lo osservava pietosamente: “dammi una sigaretta, per favore, ho una gran voglia di fumare”. Poi raccomandò ad un Ufficiale di non far sapere nulla alla famiglia, che avrebbe scritto egli stesso il giorno dopo. Con lo stoicismo di gladiatore, subì l’amputazione dell’arto senza anestesia uscendo così vittorioso anche contro il dolore più atroce. Al tripolino (5) Trevigni fu concessa la Medaglia d’oro.
Quella del 17 agosto 1940 fu una giornata epica per gli equipaggi del 15° Stormo, portato, per i risultati conseguiti e per l’ardimento dei suoi equipaggi, all’attenzione di tutti i Reparti della 5ª Squadra Aerea. Dopo la lettura delle gesta dell’eroico Trevigni, proviamo ora ad entrare direttamente nel vivo dell’azione e del combattimento attraverso la narrazione di quegli eventi registrata nelle pagine del Diario Storico di Guerra della 53ª Squadriglia.
1) Il racconto è tratto dalle memorie di guerra del Cap. Ernesto Romagna Manoja, datate 22/10/1942; Manoja, in forza al 15° Stormo nel 1940, fu Ufficiale d’ordinanza del Maresciallo dell’aria Italo Balbo, Governatore della Libia, sino alla sua morte il 28giugno 1940. Fonte:USSMA
2) Il Gruppo è il 47° e le due squadriglie sono la 53ª, la Squadriglia di Trevigni, e la 54ª.
3) Il caccia Gloster Gladiator è stato l’ultimo dei caccia britannici biplani, della classe del CR 42 ed è rimasto nella storia soprattutto per i primi mesi di guerra in cui ha operato contro gli italiani. Equipaggiato con motore stellare da circa 840 cavalli, il Gladiator aveva quattro mitragliatrici da 7.7 mm., due sincronizzate con l’elica e due sotto le ali inferiori. Gli S 79 del 15° Stormo si trovarono sovente impegnati dai Gladiator dei due Squadrons della RAF dislocati in Egitto, il 33° ed l’80 ed anche da quelli dell’Aviazione Navale “Fleet Air Arm” imbarcati sulle portaerei inglesi nel Mediterraneo.
4) La norma comune a tutte le aeronautiche e risalente alla I guerra mondiale per l’attribuzione della qualifica di “asso”, prevede l’abbattimento in combattimento aereo di 5 velivoli accertati.
5) Antonio Trevigni era nato a Tripoli il 18 febbraio 1917 e morì di malattia pochi anni dopo l’eroico volo, il 23 ottobre 1942 mentre era ricoverato all’ospedale di Sondalo. Specialista di Equipaggio Armiere Artificiere, era stato assegnato al 15° Stormo l’8 maggio 1940.
Diari Storici di guerra anno 1940 dei seguenti reparti: 15° Stormo, 47° Gruppo, Squadriglie 53ª e 54ª; fonte: USSMA
“La Regia Aeronautica 1939 – 1943”, Nino Arena, ed. 1981 SMA-USSMAScritti e pensieri raccolti da Giacomo De Ponti (Generale di Brigata Aerea, già appartenente al 15° Stormo – 85° Gruppo, dal 14 aprile 1982 al 29 giugno 1992) nel mese di dicembre 2008, per il 15° Stormo e l’associazione “Gente del Quindicesimo”.
Una copia è stata depositata presso l’USSMA, documentazione relativa al 15° Stormo.