– Gen. BA Giorgio Russo –
Passa altro tempo. I secolari ulivi pugliesi sostituiscono le distese di acacie. Sono “Proconsole in Provincia”, come scherzosamente definivo il mio incarico di Comandante dell’84° Centro. Avevo trovato un richiamo da caccia per papere, anzi, per “Paperi”.
Al telefono e in giro, ogni contatto era preceduto dal suono di quello strumento che portavo costantemente con me e che annunciava il mio arrivo a distanza. Quello stesso richiamo, vero e proprio grido di caccia, si era propagato un attimo prima di andare a bordo. Destinazione Leeuwarden, in Olanda, per partecipare alla SAR Competition, con il grande onore di rappresentare il XV Stormo. Tutto pronto, pianificato alla perfezione: e meno male!
Da Brindisi andiamo a Ciampino, per salutare il Comandante di Stormo. In quella figura di riferimento troviamo un forte sprone a far bene, com’era nella sua visione che trasmetteva a tutti, e un caloroso incitamento che ci galvanizza letteralmente.
La tappa successiva prevede Pisa, per rifornire prima di un lungo balzo. Contatto radio, procedure normali e, in lungo finale, l’invito a recarsi nell’ufficio del Comandante della Brigata, una volta al suolo. Ora, non mi bruciava soltanto il fatto che il PPR, il permesso preventivo per l’atterraggio, sembrava evaporato, benché fosse stato tutto fatto. Ma anche che avrei dovuto incontrare per questo particolare motivo colui che era stato il mio Comandante di Corso in Accademia. Comunque vado e lo trovo. Lui mi vede e rimane silente per un attimo. Lo sguardo ghignante del gatto che attendeva il topo si trasforma in un sorriso di sorpresa: “Sei tu! E io che pensavo di fare hamburger di Capo Equipaggio”. Parliamo un po’ e poi riparto. Ritornando a bordo, ripensai a quell’incontro così imprevisto e particolare per tanti versi, che era avvenuto in area operativa con la persona che tanta importanza aveva avuto per il mio Corso durante i nostri primi passi “accademici”. “Iniziamo bene”, fu il mio commento.
Nel frattempo, banchi di nubi sempre più nere iniziavano ad addensarsi copiosamente all’orizzonte. Il maltempo in rotta era diventato veramente malvagio. Sulla Francia il radar meteo segnava ormai “Profondo rosso”. L’H3 ballava un samba scatenato. Non c’era verso di proseguire. Anche se eravamo ormai a un passo dalla meta e avevamo fatto di tutto per arrivare sin lì, toccava scendere per forza. Molto rocambolescamente, sbuchiamo alla fine su una pista a nord della Francia. Quando finalmente fermiamo i motori, la gente a terra ci chiede se davvero eravamo arrivati in volo con quella tempesta. Ovviamente la base non era tra gli alternati previsti ed era anche piena per un’esercitazione. Pertanto, ci dovemmo adattare in una sistemazione di fortuna. Chissà se erano meglio i cumulonembi o quelle stanze.
La mattina successiva riprendiamo la nostra navigazione. Non era nemmeno pensabile di salire in quota e, a dire il vero, neanche di andare a bassa quota. Ma dovevamo andare. Gira, sali, scendi, infilati, sbuca, alla fine riusciamo ad arrivare alla meta. Che tempaccio! Ci ritroviamo in tredici equipaggi di tredici nazioni diverse: un bel gruppo. Il programma era fitto, ma il cuore del tutto si sostanziava essenzialmente in due eventi di precisione: una prova di navigazione e una gara di verricello.
La navigazione prevedeva l’esatto sorvolo sulla verticale di alcuni punti che andavano individuati con lo stesso criterio di una caccia al tesoro. Il tempo e la quota erano fondamentali. Le penalità venivano attribuite in base ai secondi di differenza e alla variazione di quota rispetto alla tabella prevista, nonché alla distanza di sorvolo dalla verticale dei punti. Il tutto utilizzando una mappa incollata su una scatola dalle dimensioni 40x40x40, più o meno. L’handicap lo forniva Madre Natura. Per l’occasione, infatti, aveva deciso di far spirare un vento di leggerezza tale che sembrava quasi volesse mandare fuori giri le pale di tutti i mulini olandesi.
L’inizio è avventuroso. Giriamo la scatola-mappa tra le mani, cercando di interpretarla come se fossimo stati ai piedi della Sfinge. Perdiamo qualche secondo, poi iniziamo a inanellare i vari punti. Eolo fa gran sfoggio della sua potenza. Il mare è bianco per le creste che lo ricoprono e a terra sembra tutto inclinato su un lato. Impostiamo angoli di deriva semplicemente pazzeschi. Nonostante tutto, continuiamo in rotta, ma becchiamo un paio di obiettivi all’ultimo secondo e li lasciamo un po’ troppo di lato. Torniamo a terra sapendo di aver fatto qualcosa di buono, ma anche che avremmo potuto fare di più.
Non demordiamo e ci concentriamo sulla gara successiva: il verricello di precisione. Ci sono due cose che mi piacciono da morire in volo: la formazione e il verricello. In verità, il volo mi piace in tutte le sue forme, ma queste due hanno un fascino del tutto particolare. Guardiamo gli altri equipaggi. C’è un percorso al suolo molto complesso, da fare nel più breve tempo possibile, con movimenti in tutte le direzioni, agganciando pesi e secchi pieni d’acqua da depositare in punti precisi, costruiti ad arte per essere complicati. Sono sicuramente “tosti”. L’ultima manovra prima dell’atterraggio prevede di “calare” l’Aerosoccorritore affinché prenda un vassoio con dieci bicchierini pieni di liquido, senza versarne il contenuto e senza toccare in alcun modo il suolo. Mi piace!
Le mani friggono dalla voglia d’iniziare. Viene finalmente il nostro turno. Quando hai un appuntamento importante, ti prepari e, se lo senti dentro, sai che sei pronto. Iniziamo i controlli. Pronti al decollo. Inizio a sollevare lentamente il collettivo. Muovo i comandi e “sento mia” la macchina, un mio prolungamento. Credo che ogni pilota arrivi a un certo punto a sentire veramente suo il mezzo sul quale vola, qualunque esso sia.
“Io sentivo l’HH parte di me.”
Un tutt’uno con i miei sensi e il mio corpo. L’elicottero è leggero sulle ruote. Assetto cabrato, pronto a staccarsi, la potenza che erompe. Viene su maestosamente. Un pensiero mi folgora in quell’istante. Chi ha visto un cobra quando si rizza diritto, allargando il collo, imperioso nella sua immobilità carica di potenza guizzante, pronta a lanciare il suo attacco letale? In quel momento ho sentito il “mio HH” venire su esattamente così e ho pensato: “Senti come s’alza. E’ un cobra, un cobra imperiale!”.
Lo stacco in perfetta verticale, immobile, precede lo scatenarsi della danza. L’HH scorre via, veloce e preciso. Sembra un pennello. Segue il percorso con la fluidità di un raggio di sole che invade il buio di una stanza. Quando si arresta sulla verticale degli obiettivi al suolo, sembra letteralmente inchiodato per aria. L’intesa con lo specialista è perfetta. Il contorsionismo acrobatico dell’ARS che afferra il vassoio è il suggello finale. Non eravamo su una macchina: eravamo immersi in essa. Controllo totale. Torniamo in Italia con il trofeo di “Campioni di verricello” e una virtuale “medaglia di bronzo” nella prova complessiva.
La navigazione aveva rubato un paio di punti di troppo, ma eravamo esordienti assoluti, per la prima volta nella storia del Reparto, e non conoscevamo i meccanismi di funzionamento se non per notizie frammentarie raffazzonate qua e là. Qualcun altro, invece, aveva avuto la possibilità di sfruttare esperienze passate e venimmo a sapere che si era preparato in anticipo, anche a lungo e duramente.
A dispetto di tutto, però, il “cobra imperiale” si era impennato nella sua imponenza ed era riuscito a ghermire il primo posto. Lì lo studio e la preparazione anticipata nulla avevano potuto. Era questione di “manico”, ma non era la bravura del singolo. Era l’eccellenza della formazione, dell’addestramento, dei consigli e delle tecniche tramandate dagli Istruttori che avevano affinato nei decenni le loro conoscenze. C’eravamo confrontati con il meglio del SAR internazionale e tornavamo con il carniere pieno.
Era la vittoria pura della Scuola del XV. Non che vi fosse bisogno di questo. La vera vittoria è un’altra. È quella di quando ti trovi in mezzo al mare in tempesta, con le onde che arrivano a lambirti la fusoliera e gli alberi delle imbarcazioni che sbattono a destra a sinistra come frustrate: se ti prendono, è fatta. È quella di quando sei nei crepacci, con le rocce così vicine al rotore che basterebbe allungare una mano per toccarle, mentre la turbolenza ti “shakera” come un cocktail. È quella di quando da posti infernali come questi tiri su chi ha nello sguardo ancora la visione di San Pietro, per quanto è andato vicino al viaggio senza ritorno, e improvvisamente vede la salvezza arrivargli dal cielo. In quel momento non c’è cerimonia, non c’è pubblicità, ma sai che hai fatto il tuo dovere e hai portato a termine la tua missione. Senza clamore, perché lasci parlare i fatti da soli. Nello stile dello Stormo. Non c’era bisogno della SAR Competition, è vero. Ma avevamo giocato una partita e tornavamo “Campioni d’Europa”.
La soddisfazione era alle stelle! Il sorriso del Comandante di Stormo che ci accolse al rientro, raccontava tutto questo.
Un pensiero finale
Grande HH3F. Quante storie può raccontare. Quante emozioni vissute e custodite in quelle lamiere, con gente speciale, molto particolare: la Gente del XV. Per quasi quarant’anni quest’elicottero è stato giorno e notte in volo. Ha solcato i cieli d’Italia, pronto 24 ore su 24, ogni singolo giorno dell’anno. Si è spinto in tanti Paesi. È stato un pezzo di storia della Forza Armata per oltre un terzo abbondante dell’intera vita dell’Aeronautica. Ha protetto terra e mare senza se e senza ma, in ogni condizione e in ogni dove. Sentinella vigile ed efficiente, pronta per ogni evenienza. Il rotore teso verso l’orizzonte è stato un indice puntato verso il futuro, verso il progresso, verso la vita. Immenso HH3F, sei stato un gioiello preziosissimo della mia vita, della nostra vita. Onore e gloria a te!