AMMARAGGIO FORZATO

di Antonio Pilone

Penso sia opportuno, prima di tutto, fare una breve presentazione perché sicuramente sarò sconosciuto ai più, se non ai quasi sessantenni. Purtroppo quando ci sono gli incontri conviviali del 15° sono puntualmente in turno di servizio e non riesco a partecipare, perdendo così l’occasione di conoscere i giovani dello Stormo. piloneSono un pilota ultrasessantenne e sono ancora sul pezzo, ho ancora il ciclico e il collettivo ben incollati nelle mani. Sono stato al 15° Stormo per più di 10 anni quando non c’era ancora il “Combat” e l’attività di volo era quasi esclusivamente di soccorso. Ho lasciato l’Aeronautica Militare 20 anni fa e da civile ho sempre continuato a fare il pilota di elisoccorso, solo da un anno sono impiegato in attività di volo off-shore con le piattaforme petrolifere nel Mare Adriatico. Come pilota civile ho portato a termine centinaia di missioni di soccorso, ma quelle che mi sono rimaste nel cuore sono quelle compiute quando ero al 15° stormo.

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Era un tardo pomeriggio di fine di giugno dell’anno 1982 ed ero d’allarme a Ciampino, con l’HH3F, avendo in equipaggio il cap Clemente come secondo, i tecnici Bravo e Saldamarco, l’aerosoccorritore Mimì Pessolano e il medico, del quale purtroppo non ricordo il nome. Veniamo allertati per la ricerca di un Cessna 172 tedesco, con due persone a bordo, partito da Palermo e diretto a Cagliari e di cui si erano perse le tracce. Decolliamo da Ciampino e dopo poco tempo ci trasmettono la posizione del Cessna, rilevata dall’emissione di un segnale di emergenza. Il velivolo si trovava praticamente nel bel mezzo del Mar Tirreno ad un centinaio di miglia dalla Sardegna e ad altrettante dalla costa campana. Giungiamo sul punto anche grazie alle indicazioni di un Atlantic di Elmas che, incaricato delle operazioni di soccorso come noi, era arrivato in zona ed aveva già stabilito il contatto con il pilota del Cessna.

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Quando avvisto il piccolo aero noto che sta circuitando intorno ad una grossa nave in navigazione, sicuramente ignara di tutto quanto stava accadendo. Il pilota, ormai nel pallone ed a fine autonomia, aveva ben pensato di rimanere vicino alla nave e avere cosi qualche possibilità di essere visto e recuperato dopo l’ormai inevitabile ammaraggio forzato. Riesco a convincere il pilota a tagliare il cordone ombelicale con la nave e a dirigerci insieme verso il piccolo aeroporto di Arbatax, sulla costa orientale sarda, rassicurandolo che nel caso fosse stato costretto all’ammaraggio l’avremmo recuperato avendo a bordo anche l’aerosoccorritore. Dopo circa un’ora di volo in formazione stretta a 70/80 kts di velocità e ad una ventina di miglia dalla costa, quando già scendevano le prime ombre della sera, vedo l’elica del piccolo aereo fermarsi di colpo.

Mi sembrava di aver già visto in qualche film, o forse nei fumetti, la scena che stavo vivendo in quel momento. Restiamo in assoluto silenzio radio per non distrarre il pilota. Vedo che mette giù i flaps ed inizia la lenta discesa verso il mare. Sono attimi intensi nei quali la mente corre subito al dopo. L’equipaggio si predispone immediatamente a quanto sta per avvenire. Gli specialisti aprono il portellone ed inseriscono la piattaforma. Mimì Pessolano, che la muta l’aveva indossata da tempo, è pronto a tuffarsi non appena toccheremo l’acqua. Io mi inserisco in una strana formazione con il Cessna, lo seguo mentre scende e scendo con lui. Non so se per fortuna o bravura il pilota riesce a far stallare l’aero a pelo d’acqua e ad appoggiarlo dolcemente, senza velocità di avanzamento. Galleggia per qualche istante, poi mette giù il muso e comincia ad affondare. Noi siamo ammarati insieme al Cessna, la piattaforma è stata abbassata e Mimì è già in acqua. Non gli servono più di due poderose bracciate raggiunge l’aereo. Vedo uscire il pilota dall’acqua che indica che sotto c’è l’altro passeggero. Mimì si immerge e riemerge poco dopo con una ragazza che, in preda al panico ed allo shock, non era riuscita slegarsi dalle cinture di sicurezza.

Il tutto dura una manciata di minuti ed i due sono salvi a bordo dell’HH3F, circondati dal nostro calore umano e dalle coperte che l’equipaggio si è premunito di fornire immediatamente. Del piccolo Cessna non c’è più traccia. Ridecolliamo alla volta di Elmas e consegniamo i due tedeschi ai colleghi del 30° Stormo. Ci intratteniamo per la cena e rientriamo a Ciampino. La soddisfazione è al settimo cielo, siamo convinti di aver strappato due persone alla morte certa e l’allegria del buon Mimì, che racconta con colorite espressioni partenopee i particolari dell’intervento subacqueo, ci accompagna per la durata del volo.

Fu sicuramente un intervento che meritava di essere filmato, purtroppo a quei tempi non avevamo smartphone o microcamere sempre a portata di mano, ma la sequenza degli avvenimenti è rimasta impressa in modo indelebile nella memoria di tutti i protagonisti di questa avventura.

A due mesi circa dallo spettacolare salvataggio dei due tedeschi in mezzo al Tirreno dopo l’ammaraggio del loro piccolo aereo, sono stato protagonista di un ammaraggio forzato con l’HH3F con permanenza in ammollo per circa quattro ore. Teatro operativo sempre il mar Tirreno, questa volta però più vicini alla costa, 30/40 NM dal Circeo. Comunque sempre a largo, mare abbastanza mosso, con tante “pecorelle bianche” sulle creste delle onde. Il mio secondo l’ormai inseparabile cap. Clemente, il tecnico il m.llo Catini e in più due “sfortunati” passeggeri, il ten. Zulini ed il ten. Quattrociocchi che, appena giunti al 15° ed in attesa di essere inviati alla scuola volo di Frosinone per conseguire l’abilitazione sugli elicotteri, non avevano mai volato su un elicottero e quindi “scelto” quel volo per il loro battesimo.

Era un venerdì di fine estate 1982. Una bella giornata di sole. Doveva essere un volo addestrativo tranquillo e rilassante, anche perché dopo il volo si chiudeva e ci aspettava un bel week-end. Arrivati nella zona di operazione iniziamo la nostra missione addestrativa che, se ben ricordo, prevedeva dei PATCH. Tutto si svolgeva regolarmente, seguiti anche nelle nostre manovre dagli sguardi attenti e meravigliati dei due passeggeri. Ad un tratto cominciamo a sentire puzza di bruciato, quello tipico di origine elettrica con fuoriuscita di fumo da dietro il pannello strumenti e dal vano pedaliera. In pochi secondi la cabina si riempie di fumo, apriamo i finestrini, ma il fumo esce sempre più copiosamente, prende alla gola, gli strumenti quasi non si vedono più. Decido allora di ammarare ritenendo di essere in presenza di un incendio, mi aspettavo infatti, da un momento all’altro, veder uscire le fiamme da dietro il pannello strumenti.

Una volta in acqua spegniamo i motori e abbandoniamo i posti di pilotaggio. Nel frattempo Catini si protrae verso il vano pedaliera e scarica l’estintore di bordo dietro il pannello strumenti. Apriamo la porta e la rampa posteriore, gonfiamo il battello di emergenza, i galleggianti di emergenza dell’elicottero, mettiamo in acqua l’ancora flottante, azioniamo le radio di emergenza dei nostri giubbetti salvagente. Fortunatamente il fumo comincia a scemare. Guardando dalla porta il lato destro della fusoliera vediamo fuoriuscire un po’ di fumo dal tubo di sfiato della batteria. Catini decide di andare a controllare il vano batteria, entra in acqua con il cacciavite tra i denti e si dirige verso il muso dell’elicottero, dove è posata la batteria. Era bollente e fumava da tutte le parti con fuoriuscita di acido. Era praticamente fuori uso. Non avevamo nessuna possibilità di rimettere in moto, tra l’altro la situazione era resa ancora più complicata da una pala del rotore principale che toccava l’acqua a causa della mancata fuoriuscita del drop stop. Acquisiamo così la consapevolezza della nostra condizione di naufraghi in balia delle onde, agganciati all’unica speranza che qualcuno potesse captare il nostro segnale di emergenza e far scattare i soccorsi. Comincia così la lunga attesa, il tempo non passa mai, il pensiero corre lontano e si immaginano tutte le possibili conclusioni della vicenda. Ogni tanto qualche spruzzo d’acqua entra nell’elicottero, ma defluisce facilmente dalla rampa aperta, si cerca di sdrammatizzare la situazione, qualche battuta, i due passeggeri che rimpiangono di non essere partiti prima per il week-end e di essersi imbarcati su quel volo sfigato, però il PELLICAN galleggia bene e anche se sballottato tiene bene il mare .

Finalmente, dopo circa un’ora e mezza, sentiamo in lontananza il rumore di un elicottero e subito dopo vediamo la sagoma inconfondibile di un HH3F. Ci avevano trovato, non eravamo più naufraghi, eravamo salvi e cominciamo così a pensare come portare a casa anche il buon PELLICAN. L’elicottero ammara nelle nostre vicinanze, scende in acqua l’aerosoccoritore Felago che ci raggiunge, così possiamo comunicare la natura della nostra emergenza ed, in pratica, l’esigenza di una nuova batteria. Invito i due passeggeri a raggiungere a nuoto l’altro elicottero e rientrare a Ciampino. Invito prontamente raccolto dai due che non vedevano l’ora di mostrare come sia possibile nuotare con scioltezza con tuta da volo indossata e giubbotto salvagente gonfiato. l’HH3F ridecolla alla volta di Ciampino e noi tre rimaniamo in attesa della batteria L’attesa dura più di un‘ora alleviata dalla presenza, dopo un po’, di un secondo HH3F che nel frattempo era decollato da Ciampino, anch’esso per portare assistenza. Finalmente di ritorno, il primo HH 3F riammara nelle nostre vicinanze, viene messo in acqua un battellino con dentro la batteria, e trascinato verso il muso del nostro elicottero. Tecnici ed aerosoccorritori riescono con grande difficoltà, a causa del mare mosso e della instabilità del battello, a cambiare la batteria. Salgono poi sopra la fusoliera e girano il rotore fino ad incontrare la pala senza il drop stop, la alzano con notevoli difficoltà ed inseriscono manualmente il drop stop. Tagliamo l’ancora flottante e la cima del battellone, pronti a rimettere in moto, assistiti sempre dall’HH3F poco distante.

Inserisco la batteria, tutto funziona regolarmente, metto in moto l’APU, e tutto va ok, accendo il motore N°1, poi il N°2. Lascio girare i motori su IDLE per un po’ di tempo, freno rotore sempre inserito. Ultimo controllo a strumenti e impianti, tutto regolare. Disinserisco il freno rotore e vado dentro deciso con le manette fino al 40% di torque, in modo da far acquistare il più velocemente possibile velocità e efficienza al rotore di coda e far ruotare l’elicottero il meno possibile. L’elicottero comincia a ruotare e quando prende un’onda di fianco si inclina paurosamente. Il rotore non ha ancora raggiunto la piena efficienza e le pale, curvate ancora verso il basso, sfiorano pericolosamente l’acqua. Finalmente il rotore di coda prende efficienza e riesco a controllare la direzione dell’elicottero con la pedaliera, poi, con le manette tutte dentro, decolliamo e rientriamo a casa senza ulteriori problemi.

Sul piazzale davanti al nostro hangar di Ciampino trovo ad accogliermi il comandante di Stormo il col. Zardo che si congratula e mi comunica di essermi aggiudicato il comando dell’82 centro s.a.r. di Trapani dove avrei potuto mettere a frutto tutte le mie capacità marinaresche, visto che lì il mare era sulla porta di casa.

Il controllo tecnico dell’elicottero rilevò l’otturazione della presa d’aria della batteria che ne aveva causato il surriscaldamento e la rottura del tubo proprio nel punto in cui passava dietro al pannello strumenti, con il conseguente versamento dei vapori e fumi in cabina. Se l’elicottero avesse avuto la spia dell’HOT BATTERY , come l’hanno ormai da anni, mi sarei subito reso conto della natura dell’avaria e gestito l’emergenza in modo diverso. La batteria sarebbe stata staccata prima, senza arrivare quasi al punto di fusione, e sicuramente non avrei fatto un ammaraggio forzato con tutti i rischi connessi a tale manovra . Non ricordo,purtroppo, il nome di tutte le persone che parteciparono al nostro salvataggio, voglio però, anche se sono passati quasi trent’anni, rinnovare a tutti la mia gratitudine e la mia stima.

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