MISSIONE PER SOLI ARS

di Antonio Toscano

Il terremoto dell’Irpinia del novembre 80 mi colse in pieno.

Era domenica sera e mi preparavo a tornare a Roma, dopo aver fatto la visita periodica alla mia immortale nonna (maestra di vita, polpette e ragù con ricetta ottocentesca classica). In macchina c’era già mia figlia quando mi chiesero di portare a casa di una mia zia un pacchetto; una piccola commissione.

Era improvvisamente salita la temperatura e tolsi la giacca posandola sulle gambe di mia figlia; uscendo dal cancello di casa, vidi un gatto con in bocca in gattino piccolo che velocemente si arrampicava su di un albero e commentai con mia figlia: guarda quella gatta cosa sta facendo…

In strada, dopo alcuni secondi, si scatenò il putiferio; lampioni che oscillavano, un boato ed una luce accecante come un lampo passò all’altezza del Vesuvio, tutto tremava ed oscillava ed io non riuscivo a tenere forma la macchina, mentre molti cornicioni di vecchie case venivano giù con uno schiocco raccapricciante.

L’immaginazione corse ad un attacco, al lancio di bombe, ma subito dopo, vedendo la gente che correva fuori dalle case, sussurrai come in trance: il terremoto!!!

Tralascio il seguito, ma tornato a casa di mia nonna, cercai di telefonare allo Stormo, impossibile; così chiamai i miei genitori che erano a Roma: come sopra.

Passammo la notte all’aperto, con la nonna ed i miei figli che dormivano in macchina. Al mattino presi la decisione e trasportai tutti a casa mia a Roma.

Mi misi al telefono e chiamai la sala operativa: “corri subito qui” fu la risposta.

Presi un caffè veloce ed una fetta di torta della nonna e mia moglie mi portò in aeroporto.

La sala operativa era nel pieno della bufera, telefoni che squillavano in continuazione, nessuno aveva dormito, come me del resto.

Tutti a Capodichino, ordinò il Comandante di Stormo e così il Quindicesimo, tutto, si trasferì per costituire, da lì, il cuore del sistema di soccorso alle popolazioni colpite.

Cominciammo col montare delle tende in uno spazio al lato sud del campo, dove fu il primo caposaldo e trovammo non poche difficoltà, perché chi non ha un minimo di esperienza, si trova a combattere spiegazioni scritte su di un foglio incomprensibili e difficili da seguire, fili, paletti, buchi, piantina, primo strato, secondo, e così via.

Alla fine esausti e frustrati, fattosi buio totale, andammo in mensa.

Il caos più totale; ci portarono un “brodino” dove galleggiava qualcosa…

Chiedemmo di uscire per procurarci il necessario in maniera autoctona ed alla fine ottenemmo il permesso dal Comandante di Stormo.

Tutto chiuso, tutto fermo, immobile, inusuale per una città schizofrenica come Napoli.

Ma noi avevamo, come si dice, il piano B, ovvero conoscevano il territorio e tramite l’indigeno locale, il solito Mario Russo che era di casa, riuscimmo nel nostro intento.

Un locale chiuso a tutti e soli per noi del Quindicesimo; “Peppino al Bravo” si trasformò subito come il nostro punto chiave, la base organolettica dalla quale partire; si sa senza carburante la macchina si ferma: “il brodino!!!???”

La nostra spia all’Avana procurò sostentamento primario a tutto lo Stormo; tutte le sere, finito il nostro contributo, piloti, specialisti ed ARS si riunivano in quella taverna obbrobriosa e si gratificavano con “salsicce e friarielli”.

Avevamo anche il tempo per combinare scherzi da infarto, come quello che l’isolano corto (Gianni Cuccu al secolo) organizzò per un certo specialista (Forconi Mario, detto il giovane) che ci aveva raggiunti con la sua nuova Golf fiammante: finse il furto dell’auto, con il tapino che era sbiancato e già semisvenuto dalla paura.

Al mattino, il Comandane di Stormo ci comunicò che aveva bisogno del nostro lavoro a Conza della Campania, dove era ad aspettarci il Dottor Bizzarri con la colonna medica di soccorso.

“Andrete li e vi metterete a disposizione del Medico, cercate di organizzare un punto di appoggio per gli elicotteri, magari uno spazio in un prato dove poter atterrare; portatevi delle razioni di emergenza, una tenda dove dormire, delle coperte e poi vediamo in corso d’opera”. Non serviva altro.

L’elicottero ci posò in un cantiere dal quale raggiungemmo la colonna sanitaria; Bizzari era già sull’orlo del collasso nervoso: “stanotte mi hanno rubato il cuscino su cui dormivo”. Eravamo solo in quattro e per quello che ci chiedeva il Dott. Bizzarri avremmo dovuti essere in “ottentotto”; organizzare un magazzino, montare delle tende, sorvegliare il campo, individuare ed organizzare una piazzola per gli elicotteri, magari con un collegamento radio.

Chiedemmo rinforzi e materiale: arrivò tutto con un pulmino che dovette affrontare un viaggio intorno al mondo; 8 ARS nel cuore del terremoto.

Mangiavano quel che passava il convento, da una vecchia cucina che l’EI aveva montato nelle vicinanze del campo e dove si faceva l’impossibile per sfamare tutti quelli che chiedevano aiuto.

Il campo fu organizzato con un ingresso, un parcheggio macchine militari, la tenda ARS di produzione svedese con una stufetta al centro per cercare di contrastare il freddo che si faceva sempre più intenso. Il magazzino fu organizzato presso il rudere della stazione di Conza sotto la cura e la giurisdizione di un ARS che assunse le sembianze di un vero Cerbero; al campo un altoparlante da dove Bizzarri augurava a tutta la popolazione il buongiorno dell’Aeronautica Militare Italiana, tutte le sante mattine. Una sera trasportammo a spalla carburante per un elicottero che era rimasto a secco!! All’interno del cantiere, con una macchina schiacciasassi organizzammo il punto di atterraggio, con alle comunicazioni un ARS sulla frequenza HF 2828.

Individuammo una squadra di ragazzi venuti da Roma che era particolarmente esperta per il montaggio delle tende; ragazzi che avevano esperienza di campeggio, un nucleo di giovani esploratori che utilizzammo con frequenza e proficuamente.

Erano anche mobilitati gli elicotteri AB204 della Scuola di Frosinone che facevano la spola tra la nostra piazzola e le case isolate in montagna, portando viveri, vestiario e soprattutto tende per il ricovero degli animali che erano ancora allo sbando.

La colonna sanitaria aeronautica funzionava come una fucina a ciclo continuo, visite mediche, medicinali, primo soccorso medico, ecc., fino a tarda notte.

Ci fu il problema di reperire una persona che sapesse saldare e sigillare le bare per i poveretti che giacevano morti accatastati in un piccolo cimitero.

Chiedemmo in giro e scoprimmo che un volontario della Camera del Lavoro di Crema (Lombardia) sapeva saldare tutto quello che era richiesto, erano giunti fin li spinti dalla solidarietà umana che si rivelò eccezionale in tutto il paese.

Lo accompagnammo nella sua triste e necessaria opera che si rivelò preziosa e di profonda umanità.

Nel mentre la macchina dei soccorsi aveva preso un certo regime e giunse anche un gruppo di volontari dell’Emilia Romagna che montò in un baleno una cucina ed una sala mensa, dove potersi finalmente sedere mentre si mangiava.

Generosi come la loro terra, i romagnoli stupirono tutti per la bontà, la qualità e l’abbondanza. Fu una vera fortuna, una vera grazia di Dio.

Non c’era collegamenti telefonici privati, ma individuammo alcuni operai dell’ex SIP di Avellino che avevano bisogno forse di una spinta calorica per ripristinare una linea telefonica; con una bottiglia di buon brandy “offerta generosamente” da una casa produttrice di liquori, riuscimmo nell’intento: una piccola baracca in legno da dove si poteva comunicare con il resto del mondo, anche grazie ad alcuni radioamatori.

Dopo la neve, il freddo, la fatica, giunse l’ordine di rientrare.

A Capodichino “i nostri” ci aspettavano in una tenda pronti con un piatto caldo ed un bicchiere di vino: il 15° aveva preso in mano la situazione che rende possibile sempre tenere unito tutto il personale.

Il Comandante di Stormo, fece letteralmente un balzo dalla sedia e ci venne incontro:

“ragazzi vi ringrazio, siete stati preziosi…ma siete anche dimagriti un bel po”, stringendoci la mano ad uno ad uno.

Avevo la barba lunga ed incolta, ero dimagrito cinque chili in soli dieci giorni, tutto sommato una bella cura da propagandare.

“Rientrate a Ciampino, andate a casa e riposatevi un poco; vi faremo sapere quando riprendere il servizio”.

Alla sera finalmente a casa; non riuscivo a dimenticare tutto quello che avevo vissuto in quei giorni; nel mio letto, con la mia famiglia, non riuscii a chiudere occhio tutta la notte.

Gustavo il caffè che al mattino mia moglie mi portava al letto alle 7 e 30, mentre mio figlio si era accucciato vicino a me nel mio letto, quando il telefono squillò:

“…ciao Toscano, sono Romanini, devi rientrare a Ciampino perché oggi sei di primo allarme…”

Mammajut

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