Historia de un amor – 4

4.1     L’Operazione “Restore Hope

Era in preparazione la trasferta somala; nel ’94 partì il primo nucleo di uomini e mezzi, con alla testa il capo Massetti.

Dopo un breve periodo di assestamento, in Somalia costruimmo un vero reparto di volo, in ogni sua componente, serio ed affidabile; anche qui trapiantammo la nostra voglia di stare sempre insieme in un villaggio di tende di una piccola altura nell’aeroporto di Mogadiscio, con una nostra struttura interna, la tenda del Comando, quella delle operazioni, la tenda piloti, quella Ars, infermieri ed infermeria ed un tavolo con panche che prendemmo – “in prestito” – presso gli alleati USA, docce, lavandini, bagni ed una buona riserva d’acqua.

In quella terra martorizzata dai venti di guerra, siamo stati una parte preponderante, abbiamo portato soccorso in luoghi impensabili, raggiungendo villaggi che sembravano essere fermi nel paleozoico inferiore.

Abbiamo coltivato e trapiantato in quella terra magnifica ed in quel mare minaccioso, la speranza e la fratellanza; medici ed infermieri hanno curato migliaia di persone; abbiamo soccorso con l’elicottero bambini, donne ed anziani, ristabilendo con la popolazione l’antico legame che spero ancora possa restare vivo.

I piloti si sono orientati dovunque, riuscendo a portare a termine ogni soccorso; i mitraglieri raccoglievano rametti di alberelli dalle canne delle armi, perché si volava ad altezza d’uomo; gli specialisti hanno tenuto una efficienza che faceva invidia a tutti; gli ARS non avrebbero esitato un attimo dal difendere i mezzi e gli uomini e dovevano sempre tenere a bada qualcuno che giocava un po’ troppo con le armi.

Una notte ci fu un increscioso episodio qui non menzionabile; ci fu un ingresso notturno indesiderato nella tenda aerosoccorritori; uno di noi si accorse della presenza dell’intruso e diede l’allarme inseguendo il tizio fuori della tenda; fu scambiato per un attacco e gli ARS si armarono con pallottola in canna dando la caccia all’intruso.

Ci fu un momento di grave tensione perché il tizio era passato anche per la tenda piloti e deducemmo il fatto come un vero attacco terroristico. Strisciando fra la sabbia arrivammo tra i letti dei piloti che fortunatamente dormivano e non si erano accorti di nulla. Piantonammo la tenda ed anche quella del Comandante del Distaccamento e finché non riuscimmo a venirne a capo, nessuno di noi ARS chiuse un occhio.

Recuperammo due militari USA su di una camera d’aria al largo di Mogadiscio, in una mare dove la presenza degli squali è cosa di ogni momento e l’equipaggio ricevette una decorazione di “ben fatto” dai militari USA.

All’operazione di allarme, decollo e recupero, furono testimoni gran parte degli uomini dell’operazione “Restore Hope”; tutto si svolse e si concluse in pochi minuti, figuratevi l’ammirazione degli alleati, tutti ci fecero i complimenti.

La Somalia è stata per lo Stormo una grande esperienza, perché molti dei Comandanti di quel Distaccamento erano di altri Stormi; noi siamo riusciti ad integrarci alla perfezione con le loro modalità, suscitando il loro plauso e la loro ammirazione.

Un perfetto “Social Forum” e un connubio aeronautico perfetto tra il 15° e la 46ª.

Avevamo, anche lì, il nostro punto di ritrovo culturale, il tavolo “ex USA” che alla sera si animava con spaghetti, formaggi, pesce, frutta; una grande brace ed un forno, tutto in modo autoctono ed artigianale, costruiti da noi; nessuno toccava cibo finché non era rientrato l’ultimo equipaggio. Un’esperienza esaltante da molti punti di vista.

Quando un equipaggio di altri gruppi, da Rimini e da Trapani, sostavano a Ciampino, trovavano accoglienza, calore, legame di colleganza, restavano a pranzo o a cena con noi ed erano sempre accolti con il calore con cui si accoglie un fratello o un amico.

A Ciampino riuscimmo a costituire un Centro d’addestramento unico, con lo scopo di integrare uomini e mezzi con le stesse procedure: uomini e mezzi potevano cambiare e mischiarsi tra loro, con l’effetto professionale che era sempre su livelli altissimi.

In Somalia esaltammo quelle esperienze di equipaggi misti e di macchine provenienti da questo o quel gruppo, senza peraltro accorgersi di nessun cambiamento, perché sapevamo trasferire senza fatica o strategia, ma in modo naturale e sentito, il nostro stare al mondo.

Non a caso i Comandanti del Distaccamento di Mogadiscio – della 46ª A/B – erano sempre con noi, attenti alle nostre iniziative, partecipi sia alla nostra attività di volo, che alle nostre intemperanze; legammo con loro e loro legarono con noi; persone di estrazione professionale e militare diverse, si sono ritrovati a vivere la comune esperienza in modo civile, moderno ed esemplare.

Un rapporto affettivo ed emotivo che ancora lega molti di noi con loro.

Ma prima c’eravamo molto addestrati, c’eravamo preparati a lungo e con meticolosità, cercavamo sempre e comunque di integrarci con tutti gli uomini del 15°; facemmo la conoscenza con i visori notturni, con le armi e con compiti fino ad allora per noi agli antipodi. Sperimentammo la mitragliatrice, facemmo esercitazioni di giorno e principalmente di notte, come se avessimo saputo che un giorno non lontano saremmo stati chiamati al compito “Combat”.

Preparammo speciali addestramenti, fornimmo una direttiva d’impiego e di addestramento, modificammo le macchine e preparammo una nuova generazione di equipaggi: ci ricostruimmo; con il compianto amico fraterno Aldo Iacoella (semo gente de borgata) lavorammo sulle direttive d’impiego e di addestramento, facemmo gli esami di pronto impiego e sperimentammo un sacco di belle cose, i visori, le armi, i caschi, le protezioni, ecc.. La nostra inventiva ci aiutò molto, considerati i mezzi finanziari che avevamo a disposizione: due lire!! Poi la Somalia, oh la Somalia, che posto.

Personalmente sono molto legato a quell’esperienza, non solo per la natura avventurosa della cosa, quanto per l’opportunità di esserci veramente dentro e non essere marginalmente impiegati. Siamo andati con entusiasmo, anche un poco senza capire a fondo, “facendoci le ossa” per i futuri e probabili compiti dello Stormo. Intorno al nostro tavolo, prestato ma ormai acquisito per enfiteusi, si sono seduti un poco tutti quelli che presero parte a quell’esperienza, giovani e meno giovani, Comandanti “importati” come quelli della 46ª, invitati e non, ma che da noi hanno trovato quello che in fondo tutti cercano, integrarsi con gli altri.

Certo c’è stata qualche “fetecchia”, chi veniva in Somalia per estrazione, quelli che venivano a prendere il sole, ma dopo poco tutti si adeguavano al nostro modo di essere e di divenire. C’era un tale, tutto tronfio, alto e legnoso che voleva fare il Combat, domandando spudoratamente al Comandante: “quando comincio?”

Il capo gli rispose: …”anvedi questo!!??

Abbiamo anche però avuto la fortuna di lavorare con persone del ramo amministrativo che si rivelarono preziose; abbiamo avuto la fortuna di sfruttare le potenzialità di autisti, di armieri e di tanto altro personale di cui non si può disconoscere competenza, professionalità e spirito di sacrificio.

Abbiamo avuto al nostro tavolo l’onore di ricevere il capo in testa, un generale di grande signorilità che mostrava per noi un affetto un poco viscerale, tanto da suscitare qualche chiacchiera fuori luogo, parlo del Generale Loi, una persona ed un militare veramente speciale. Ogni volta che veniva al campo, gli dedicavamo sempre un “Mammaiut”; i suoi occhi luccicavano come le stelle della notte equatoriale, veniva per mangiare una pizza ma in realtà sentiva profondamente il legame con noi.

Andammo a prendere i feriti della terribile battaglia tra i miliziani di Aidid ed i pakistani allo stadio di Mogadiscio; li portammo in volo presso l’ospedale degli svedesi con un volo da manuale e con una procedura di sicurezza che fu un’operazione da veri professionisti. Facemmo la scorta in volo; atterrammo molte volte nel deserto di Jalalaxi, dove stringemmo amicizia con i bambini del villaggio.

Ho una foto che ancora mi strappa l’emozione dal profondo: sto dando da mangiare ai bambini, sfortunati esseri umani che vivono in una condizione di miseria inaudita.

Episodi che ti scavano dentro, che creano buchi nell’anima, che fanno sorgere mille domande senza risposte adeguate. Come ebbe a dire Gianmario Generosi nel secondo volume di “Nec in somno quies”, forse era quella la vera motivazione che ci spingeva e non aveva torto.

In quella missione somala, noi Aerosoccorritori, abbiamo avuto l’opportunità di vivere in un segmento di vita che offre davvero l’occasione di forgiare i successori: Cavallaro, “Piscitiello” Scrimo, Memoli, l’albanese Sementilli, Sorvillo, Stefanelli ed il “trucido” Ettore Quaresima, furono il nostro futuro; ci siamo rispecchiati in loro ed avemmo la consapevolezza della discendenza; furono precisi, protettivi, partecipativi ed attivi come volevamo noi e come siamo certi continueranno ad essere.

In quel distaccamento le visite si seguivano l’un l’altra, venivano un poco tutti e tutti sono stati ospitati da noi del 15°, ma eravamo particolarmente felici quando veniva uno dei nostri, il “Capo” Barale, l’infaticabile Di Lorenzo, e Cuccu in veste di corrispondente di guerra. Ci facevano anche delle interviste, ma il nostro fischio “Fiù, fifiiùù” apriva e chiudeva ogni incontro, ufficiale o non: non potevamo smentirci!!! Qualche volta veniva un “turista fai da te” ma le nostre braccia erano sempre aperte.

Ma, lasciamo la Somalia e torniamo un poco indietro. Forse è il caso di citare la crisi dell’Achille Lauro.

4.2     La crisi della “Achille Lauro”

Ci svegliarono di notte e ci dissero, venite in base e portate un cambio di biancheria, perché staremo lontani qualche giorno…così detto, così fatto: tutti a Ciampino alle due di notte.

Preparammo le nostre cose, elicotteri e uomini pronti e partimmo: destinazione ignota.

A Brindisi si riunirono quattro elicotteri e tutti gli uomini precettati per l’operazione.

In un rapido briefing facemmo la conoscenza con il sequestro della nave, i terroristi di Abu Nidal e la destinazione: aeroporto di Akrotiri (Limassoul), Cipro.

Facemmo sosta per la notte all’isola di Creta, a causa del maltempo non riuscimmo a passare. Cenammo; il solito agnello freddo in un albergo messo a disposizione dal console onorario. Chi c’era si ricorderà che anche in quell’atmosfera di crisi, trovammo il modo di lanciare la nostra sfida: era già notte; mentre mangiavamo passò ticchettando una bella ragazza con tanto di belle gambe e gonna corta; rompemmo quel silenzio irreale con un coro di “Ohh, Ohh, Ohh” di puro godimento, che resuscitò tutti, console compreso.

Vittò Mulas aveva le lacrime agli occhi; Maurizio Conti – capo missione – per poco non scoppia da tanto che era rosso; Ottavio Conte del Casale, si era ri-illuminato. Qualcuno aveva un boccone per traverso, Menna rideva con la testa alzata per prendere fiato perché era ingolfato da un pezzo di pecora al forno; tutti fummo felici di essere li, in quel momento: godere necesse est!!!

La mattina in volo – e chi era riuscito a dormire? – raggiungemmo questa base inglese nel cuore del mediterraneo. Briefing e poi in una casetta diroccata che fungeva da quartieramento. Uccidemmo una biscia e pulimmo il caseggiato, residuo forse di un attacco nella seconda guerra mondiale, avete presente?

Ci diedero un parola d’ordine che più volte ripassammo; incrociammo altra gente ed ognuno che s’incontrava sembrava non vederci, mha? chissà?

Trovammo già uno dei nostri con tanto di pianta della nave, vedevamo volti scuri, ma il nostro capo missione, ci assicurò che avremmo fatto solo cose che sapevamo fare. Ci dissero di andare a mangiare, erano le tre passate – ora di Roma-Montemario – in un vicino hangar dove erano parcheggiati alcuni elicotteri USA che nel mentre continuavano ad affluire. Mangiammo qualcosa che somigliava al cibo e poi rincasammo.

Intanto si stavano sistemando i posti di fortuna dove riposare un poco, delle brandine da campo un poco scomode, ma ingegnose e funzionali.

Ceccopeppe Ceccarelli, ciociaro purosangue, era in giro per trovare una scopa…

Qualcuno gli suggerì di chiedere ad alcuni nostri vicini, gente armata di tutto punto che ogni tanto faceva esercizi di arrampicata su una palazzina fatiscente in pietra.

Cecco fermò l’autista di un camion straniero e chiese: “Mister, Mister, wont scop!?”

L’autista non battè ciglio e con un sorriso chiese: “What?

Ceccopeppe: “Mister, scop, ramazz…scop, capito? Scop…” mimando il gesto.

Lui imperturbabile ancora con un sorriso: “What?

– Scop, mister…ramazz..

Intanto tutti noi dietro scoppiammo a ridere mentre lui s’incavolava e chiedeva ancora la scop, la ramazz; nel coro generale delle nostre risate ormai senza freno.

L’autista allora s’affacciò e disse con accento toscano: “guarda che mi viene da ridere, sono italiano ed i tuoi se ne sono accorti da un pezzo; ti avrei tenuto qui ancora…”

Ma che sei italiano? Disse Ceccopeppe ancora incredulo, ma che non smontò la sua richiesta. “Allora mi puoi prestare una scopa?”

Ancora si ristabiliva il clima, dalle preoccupazioni all’allegria che immediatamente percorse la strada che le era familiare.

Ci dissero di dormire il più possibile perché saremmo andati in volo di notte, ma nessuno ci riuscì; così arrivammo a notte fonda ed improvvisamente ci comunicarono che i terroristi si erano arresi e che l’indomani saremmo tornati a casa: tutti allora a mangiare dalla zio Sam.

Incontrammo una pattuglia di guardia, inglesi, NESSUNO RICORDAVA LA PAROLA D’ORDINE; gli inglesi sorrisero e si allontanarono…

Fra casse di pistole, mitra, bombe a mano ed elicotteri armati, mangiammo fette di pane in cassetta con la marmellata ai mirtilli: su consiglio degli infermieri che ci dissero: “fa bene alla vista!!!!”

Ceccopeppe scambio una tazza di salsa con qualcosa da bere, ma si accorse in tempo.

Tutti estasiati dalla potenza dell’alleato; erano affluiti uomini, armi, elicotteri; ragazzi armati di tutto punto; un tizio alto e grosso con una mazzetta di 10Kg che manovrava come fosse il mitico Dio Thor…era per sfondare le porte!!!

Fucili mitragliatori, a pompa, a pompetta o a schizzo, proiettili per tutti gli usi, bombe e pistole in quantità; in quel frangente capimmo tante cose, se volevamo fare quel gioco bisognava attrezzarsi meglio, a cominciare dai colori dei nostri elicotteri che erano gialli e rosso, i colori del soccorso aereo.

La nostra natura però doveva intervenire: avevamo preparato una missione alternativa!!: un elicottero in avvicinamento alla nave con tutte le luci accese, carrello fuori e Mario Russo che scendeva appeso al verricello; due fiaschi di vino sotto le braccia e dollari fra le dita, come un vecchio allibratore.

Sul ponte della nave, con la sua calma pacifica avrebbe detto: “terrorist,… sentite a me, beviamoci un poco di vino, vi regalo pure qualche dollaro e andiamocene tutti in pace,… pensate alla salute e chi s’è visto s’è visto….cercammo di non farci male!!!

Sulla Achille Lauro avrebbero tutti applaudito…certo era bella come missione di pace, la nostra fantasia aveva partorito il desiderio di tutti; ma poi, al limite, potevamo anche lasciarlo in ostaggio, tanto se la sapeva cavare.

La mattina, prima di partire ci fu il giallo della scarpa scompagnata; un pilota si lamentò che la notte qualcuno aveva scompagnate le sue scarpe, ma vi pare possibile?

Gli mettemmo un biglietto minatorio al suo posto di pilotaggio…”dacci tutte le tue petecchie (soldi) e noi ti faremo riavere la tua scarpa”.

Non avevamo perso la nostra connotazione principale, sfatare i miti, sfidare la vita, le birbe alla berlina, come si usava dire una volta, era il sale nostrum.

Fu una esperienza di crescita, cominciammo a convivere con questo genere di cose, se avessimo solo focalizzato il nostro sviluppo sul soccorso, saremmo spariti nel breve ciclo di uno-due anni; noi invece volevamo sopravvivere ed esserci innanzitutto.

Ci richiamarono, perché cominciavamo ad essere bravi, schierandoci sull’Isola di Pantelleria durante la crisi con la Libia…con il coltello fra i denti, avremmo dovuto recuperare gli eventuali piloti abbattuti…non aggiungo altro!!!

Anche in quel frangente ci siamo dovuti arrangiare, con gli alloggi, con un solo automezzo, con la mensa che aveva solo un pentolone; ma la nostra voglia ebbe la meglio; ci procurammo con un blitz alloggi, pulmino e trattoria per la sera.

Questa la piccola storia di un amore che ancora dura, anche se ora viviamo separati.

Un amore per la professione che mi ha dato l’opportunità di vivere insieme ad uomini che ho amato da subito; credo proprio che se non avessi avuto la “provvista d’amore” che mi hanno fornito i colleghi, non avrei poi fatto quello che ho potuto fare.

Dopo la Somalia, ho avvertito dentro di me il click, fui consapevole che stava per finire un capitolo importante della vita.

Avevo altri amori, altri obiettivi e soprattutto già ero con la testa altrove.

4.3     Fine di una “Historia de un amor”

Scelsi di lasciare dopo 35 anni di vita insieme e salutai il Comandante Mario Sorino con un abbraccio immortalato in una foto davanti alla bandiera; fui felice di aver avuto come testimone uno della razza!!!

Alla fine di questa breve storia di un amore per il proprio lavoro, sono immancabili alcune considerazioni; ad esempio quella della considerazione per noi Aerosoccorritori.

Siamo venuti al mondo (non in provetta), mentalmente nella media e fisicamente forgiati; ci siamo sempre sentiti figli della stessa madre; siamo stati collaborativi, produttivi; con noi l’organizzazione si è dotata di una nuova specialità fatta di uomini portatori di una particolare cultura: tutti insieme per lo stesso scopo/obiettivo/interesse. Molti ci hanno considerato “anomali” perché il nostro lavoro era fatto di corse, allenamenti in mare, ginnastica; venivamo da una selezione particolarmente dura, infatti al mio corso, il 1°, eravamo ben cinquanta canditati e siamo arrivati in tredici.

Si cominciava con il corso sommozzatori a Genova, sotto la frusta di un grande subacqueo: Duilio Marcante, che forgiava e temprava fisico e carattere in piscina scoperta, nel mese di novembre e senza muta; autodisciplina, autocontrollo e senso di responsabilità era il motto.

Poi l’indimenticabile Colonnello Franco Papò…
“Pater soccoritoribus”,
che aveva cura di tuffare gli ARS nel lago di Bracciano, in mesi freddi ed inaccessibili e li qualificava Aerosoccorritori, con i corsi di sopravvivenza in mare, in montagna e zone impervie per finire con il corso SEF. Era un periodo formativo dove innanzitutto s’imparava a legare lo sforzo di una organizzazione che porta sempre a casa il risultato, il naufrago salvato nel mare in tempesta, il turista disperso o infortunato in montagna, la vita di un individuo che vale tutti gli sforzi e tutti i tentativi. Perciò siamo stati in grado di concludere e portare a termine missioni di soccorso reale, dove ci avevano provato altri reparti di volo omologhi senza riuscirci, rendendoci conclusivi e realizzativi di uno sforzo organizzativo unico nel suo genere.

È stato per me un vero amore…con tutti i conflitti ontologici, con tutte le gratuite considerazioni di qualche “testa eletta tale”, frenando, fornendo argine e collaborazione; spiegando e tentando di far capire agli altri, la necessità del proprio e dell’altrui ruolo; è evidentemente il nostro “Charma”, il destino dell’ARS.

Io sono ancora qui, sempre con i miei “simili” del 15° Stormo e lo testimonia il fatto che sono ora e spero sempre, con l’Associazione Gente del 15°.

Come volevasi dimostrare, sono gli uomini con i veri ideali che si aggregano nuovamente, anche quando un ciclo esperienziale sembra essere terminato.

Di questi “casi isolati” non vedo altro che scarsa presenza fortunatamente ancora oggi, qui con noi, la loro presenza-assenza: è un fatto da considerare attentamente.

Era ed è amore, amicizia, solidarietà e voglia di rivedervi tutti: sempre; sarebbe bello.

Un pizzico di poesia per concludere, un cantico dove la sensibilità di un uomo si confronta con il mistero della luna, parlando d’amore, del suo passato e del suo stato d’animo attuale.

…”Ed è, non cangia stile, o mia diletta luna. O come grato occorre il noverar l’estate, quando ancor lunga è la speme e breve ha la memoria il corso”. (Giacomo Leopardi – Alla luna – Boringhieri, 1961).

Antonio “Totonno” Toscano, allievo del grande Franco Papò e suo “Pretoriano”; allievo del maestro subacqueo Duilio Marcante, già proveniente dalla fucina del 4° Reparto SMA. Figlio, sposo ed amante del 15° Stormo e della sua gente; separato consensualmente.

Napolitan ARS et Civis Romanis

Fiù, firifiùùù”

 


Condividi l'articolo...