Sono passati dieci anni, ma è una tragedia ancora viva nelle nostre menti, soprattutto per chi ha vissuto in prima persona quei tragici momenti.
Marco Mascari e Maurizio Gentili, hanno lasciato due coinvolgenti testimonianze che riproponiamo tra l’inimmaginabile e una “prima partenza”.
Mai avrei immaginato una missione del genere
di Marco Mascari
18 gennaio 2012
Ho volato molti cieli del mondo e benché ogni volta lo spettacolo sembrasse essere unico…… questa volta lo è stato per la sua tragicità. Una nave da crociera sofferente in mare, ormai condannata a morte e riversa su di un fianco è uno spettacolo che ancora oggi mi turba profondamente. Il BOC mi chiama alle 10.00 per avvisarmi di una missione di ricerca naufraghi intorno alla Costa Concordia. I miei colleghi sono già intervenuti durante i primi drammatici momenti.
Corro in base, il buon Ten. Valerio Modugno, insieme ai Primi Marescialli Salvi, Carnevalini e Mattozzi, mi sta aspettando in sala operativa per pianificare la missione. Gli sguardi sono seri, la missione è di quelle che lasceranno il segno, le speranze di trovare qualcuno vivo si esauriscono con il passare delle ore. Dobbiamo muoverci! Corriamo all’elicottero, pronti all’APU, controlli AFCS, via al motore uno e subito al motore due. Tutto in ordine, i parametri sono in arco, pronti all’aggancio. “3.2.1 via”, ed il grosso e possente rotore dell’HH-3F inizia a fendere l’aria per arrivare ai giri previsti. Chiamata radio, missione RIMD pronta la rullaggio. Controlli in pista e decollo, verso l’isola del Giglio “monoprua” con il massimo delle prestazioni per ridurre il tempo di intervento. Il mare ci scorre sotto. Nessuno parla, tranne lo specialista che effettua il controllo nel vano di carico ogni 30 minuti. Dopo il traverso di Fiumicino un lungo tratto di mare prima dell’isola. Uno spettacolo surreale ci aspetta, voci concitate, tanti mezzi, in mare e in cielo, coordinati rispettivamente da CAPITANERIA e dall’APPROACH di GROSSETO che controlla lo spazio aereo interdetto al volo, tranne ai mezzi di soccorso.
Mentre mi avvicino inizio a vedere i contorni della nave. Ricorda una gigantesca balena spiaggiata, di quelle che si vedono spesso nei documentari in tv, quei confusi contorni diventano sempre più chiari, fino alla completa drammatica visione della COSTA CONCORDIA.
C’è qualcosa di indegno in quella vista, qualcosa di immorale nel vederla coricata sul fianco.
Provo pietà, quasi che la nave sia un essere vivente, ferito a morte. Viene quasi voglia di coprirla con un telo, per sottrarla alla vista, per compassione delle vittime. Ma ci sono altri che forse possono essere salvati e lo scoramento si trasforma in rabbia, quella lucida energia che serve a mettere anima e cuore nel tentare di salvare almeno un’altra vita, come i miei predecessori mi hanno insegnato e come tante volte mi hanno dimostrato.
Raggiungiamo il punto di inizio ricerca, che poi è la nave stessa. Valerio mi ha già comunicato la prua iniziale della ricerca ed il tempo da percorrere, via al contasecondi ed occhi fuori. Ma fuori non riusciamo a scorgere nessun ‘survivor’. Solo il mare crudele e cupo. Seguiamo il contorno dell’isola, sperando che magari qualcuno dei dispersi fosse venga restituito vivo, magari svenuto, sulle coste. Dentro di noi però sappiamo che se qualcuno fosse caduto in acqua e non fosse stato recuperato subito, difficilmente potrà essere ancora salvato. Troppe ore sono trascorse per la temperatura del mare in questo periodo. Ma abbiamo la nostra missione, vogliamo completarla bene, esplorando ogni possibilità, con cura e dedizione, come ci ha educato chi l’ha fatto prima di noi. Ogni passaggio potrebbe rivelare la presenza di qualcuno in difficoltà. Mi rendo conto che ancora una volta il 15° Stormo con l’HH-3F e il suo equipaggio rappresentano la differenza tra la vita e la morte. Nulla, ancora nulla, solo il cadavere della Concordia, una nave di lusso, di quelle che sono state create per far vivere dei bei momenti, quei momenti che restano sempre impressi con gioia negli album di famiglia. Ma non questa volta. Un brivido mi percorre la schiena immaginando quei momenti. É enorme, triste, bianca e macabra pur nella sua maestosità, esaltata dalla anomala posizione di gigante dormiente. Una posizione umiliante per una nave cosi bella. Il tempo passa, la ricerca è quasi completa, ma abbiamo ancora carburante. Una volta terminata la prima ricerca decido di ritornare all’inizio e ricominciare nuovamente, non si sa mai. Grosseto non è lontana, manterremo solo il carburante che serve a tornare alla base, il tempo è CAVOK e la fortuna di un elicottero è che non ha obbligo di atterrare solo su grandi e preparate piste, in ogni caso una zona abbastanza ampia posta in sicurezza con la possibilità di far arrivare una botte per il rifornimento è il minimo requisito. Niente, ancora niente. Poi il livello impietoso del carburante ci ordina di finire. Non c’è nient’altro da fare. Guardo la nave, non riesco ad abituarmi a quella vista. Provo tristezza, una profonda tristezza per quell’incubo. Penso al dolore ed alla paura delle persone, totalmente impreparate ad una simile catastrofe. La nave è immobile, ci passo un’ultima volta sopra, quasi un saluto estremo. Non credo che quella nave tornerà molto presto a solcare i mari, probabilmente mai più. “PRUA 025°” mi dice Valerio, “RIENTRIAMO”. É finita! Non possiamo fare altro”. Giro il nostro agile e mastodontico HH verso Grosseto, il sole sta ormai tramontando. Nessuno parla, la missione RIMD torna a casa, c’è lo sconforto e la delusione per non aver potuto concretizzare un aiuto.
Ma il destino è lì pronto ad offrirci un’altra occasione per riscattare il nostro orgoglio SAR. Dopo appena poche ore un’altra richiesta di intervento mette a dura prova un equipaggio non proprio avvezzo a certi tipi di soccorso, il recupero con barella di un infartuato da un mercantile Greco. Il tutto reso ancor più difficile da un mare forza 4/5 e raffiche di vento a 35 nodi. Gli schizzi sul parabrezza, i pennoni alti 50 ft, la prora di una nave di 130 mt che sale e scende a causa delle onde. Oltre 45 minuti di intervento per rilasciare ARS, MEDICO, ASSISTENTE DI SANITA’ ed ovviamente barella su una nave che procede a oltre 10 nodi verso Gaeta. Dopo essere riusciti a stabilizzare il malato, abbiamo recuperato tutti. La destinazione è stata Latina dove già un’ambulanza era in attesa. Ancora prima dell’atterraggio il controllo ci dice che l’RCC ha già un altro TASK per noi, un malato in imminente pericolo di vita da recuperare a Ponza. Bisogna fare carburante e anche se l’equipaggio è pronto ad un’ulteriore missione, il Comandante di Centro preferisce farci riposare e sostituire l’equipaggio.
Momenti di gioia e orgoglio per uno Stormo che mai come ora si sente PRONTO ad INTERVENIRE!!!
Mammajut
PRIMA PARTENZA
di Maurizio Gentili
19 gennaio 2012
La serata si era conclusa come tante altre, ma la nottata celava una “grande” sorpresa.
Mi ero da poco addormentato quando 15 minuti dopo la mezzanotte vengo svegliato dallo squillare del cellulare, sempre acceso sul comodino: l’operatore della Sala Operativa di Reparto (SOR) mi comunica che la nostra prontezza SAR era stata ridotta dai classici 120’ a 30’ per decollare.
Come tante altre volte in questi anni mi alzo e mi preparo per andare al lavoro, ma continuo a chiedermi cosa sta accadendo per portare la prontezza a 30’ in piena notte. Mentre percorro la strada che mi divide dalla base di Pratica di Mare vengo pervaso da una strana sensazione che non riesco a comprendere, ma che mi mette addosso una strana agitazione. Più mi sforzo di capire cosa sia, più non trovo una spiegazione alla domanda.
Arrivato in base noto che la palazzina è aperta, ma le luci sono ancora spente ad eccezione della stanza dove si trova la SOR. Entrando l’Operatore mi accoglie con un “…ecco il Capo Equipaggio. Sei arrivato per primo”. Ecco cosa era quella strana sensazione! In passato ero partito d’allarme sempre come Secondo Pilota, ma adesso partirò come Capo Equipaggio, non ci sarà nessuno più esperto a gestire la missione, nessuno più esperto a gestire il resto dell’Equipaggio, nessuno più esperto a correggere eventuali errori, quello più esperto adesso sono io!
Ripresomi dallo smarrimento iniziale, chiedo cosa sta succedendo e l’Operatore mi risponde che una nave da crociera, la “Costa Concordia”, si è incagliata presso l’Isola del Giglio e che le operazioni di salvataggio delle circa 4200 persone presenti a bordo sono iniziate, ma ce ne sono altre che non riescono a raggiungere le scialuppe di salvataggio.
Air Operation Center - Poggio Renatico (FE)
Mentre comincio a reperire le varie informazioni arriva l’esecutivo, l’ordine di decollo, dall’RCC di Poggio Renatico; il momento è giunto. Nel frattempo vengo raggiunto dal secondo Pilota ed insieme decidiamo di rabboccare un po’ di carburante in modo da avere una maggiore autonomia, ma senza sovraccaricarci troppo così da avere anche la possibilità, una volta arrivati sul luogo del naufragio, di caricare a bordo eventuali naufraghi senza andare fuori con i pesi. L’esecutivo comunque prevede di raggiungere le coste dell’Isola del Giglio e contattare un altro elicottero in zona per ricevere ulteriori disposizioni. Insieme al secondo Pilota mi ricongiungo con il resto dell’equipaggio, che ha intanto preparato l’elicottero, e comunico loro la missione che andremo a svolgere. Si discute della possibilità di imbarcare un altro Aerosoccorritore, in maniera di aumentare le capacità di operare in mare, e decido di procedere in tal senso.
Ci siamo, alle 01.00 Zulu, le 02.00 locali la R-IME decolla alla volta dell’Isola del Giglio. Le 80 miglia nautiche che ci separano dal luogo del naufragio sembrano non finire mai, ma mi permettono di notare tantissime sfumature che in tutte le missioni precedentemente svolte non avevo mai notato; il secondo Pilota sta facendo un lavoro egregio, tanto da non sentire la necessità di chiedergli nulla, gli Operatori di Bordo, gli Aerosoccorritori e l’Assistente di Sanità sono sereni; tutto procede alla stregua di una normale missione addestrativa e la tranquillità che regna mi rasserena molto, facendomi capire che la fiducia che io pongo nel resto dell’Equipaggio è contraccambiata.
Il tempo passa e la zona di operazioni si avvicina. Da lontano, grazie ai visori notturni, cominciamo a scorgere la scena del disastro, la nave da crociera, già inclinata di 80°, sembra un tutt’uno con il porto del Giglio, ma più ci avvicinavamo e più i contorni della tragedia si delineano meglio, e le luci che corrono lungo la fiancata bianca non sono delle calme e rassicuranti luci posizionate sulla terraferma, sono bensì le frenetiche luci dei giubbetti di salvataggio dei passeggeri che discendono in fila indiana lungo la fiancata della nave.
Prossimi alla zona di operazione iniziamo i vari coordinamenti per operare, ma scopriamo, con sorpresa, che esiste già un altro R-IME. Veniano quindi rinominati prima R-ILE e successivamente R-IMF, nominativo che finalmente ci consente di iniziare le nostre attività di ricerca di eventuali passeggeri in acqua. Iniziamo a volare bassi sul mare, con tutti i membri dell’Equipaggio che scrutano l’acqua alla ricerca di eventuali dispersi. Volare a bassa quota sul nero mare facendo lo slalom tra le imbarcazioni impiegate nelle operazioni di salvataggio, ci porta inevitabilmente in prossimità della nave Concordia; lo spettacolo lascia me ed il mio equipaggio senza parole. La “mortale ferita”, lunga 70 metri sullo scafo della nave, è impressionante, ma noi non siamo lì per turismo e perciò continuiamo imperterriti nella nostra ricerca, anche se alla fine non troviamo nessuno.
Mentre per l’ennesima volta sorvoliamo le acque intorno al relitto veniamo contattati dall’On Scene Commander (OSC) che ci lascia il compito perché ha terminato il carburante e deve rientrare presso il vicino aeroporto di Grosseto. Di punto in bianco nella mia prima missione da Capo Equipaggio divento non solo responsabile dell’Equipaggio che ho a bordo, ma anche responsabile del coordinamento dei mezzi aerei che stanno prestando assistenza.
Saliamo a 2000 piedi sulla zona di operazioni, quota che ci consente di avere una migliore visione della scena e grazie all’egregio lavoro svolto dal secondo Pilota i coordinamenti procedono senza problemi.
Quando, dopo circa tre ore di volo con i visori notturni montati, arriva il limite dell’autonomia e siamo costretti a lasciare la zona di operazioni per atterrare, la situazione si è stabilizzata. Gli sfortunati passeggeri della nave si incamminano come tante formiche in fila indiana sui natanti ai piedi del gigante marino che giace su un fianco, mentre chi doveva essere evacuato con il verricello è già stato evacuato.
... come tante formiche in fila indiana ...
Alle 5 della mattina, in avvicinamento presso l’aeroporto di Grosseto, la stanchezza comincia a farsi sentire. L’adrenalina, dopo la sua funzione stimolante, lascia spazio alla spossatezza mentre le luci della pista sembrano non avvicinarsi mai; al suolo i componenti del mio Equipaggio svolgono i loro compiti, stanchi ma sereni, segno che la mia prima missione operativa si è svolta come si doveva svolgere.