Ossia… si cominciava
a “vedere” con le orecchie e
a “sentire” con il c…lo!!!
– di Pasquale Aveta –
Agli inizi del 1975, quei Dodici dell’Ibis 3° svernavano in Ciociaria. I più avevano già compiuto i 25 anni, l’età minima che Mamma Aeronautica riteneva essere la più adatta per contrarre eventualmente matrimonio a mente più sgombra, stimando che statisticamente il novello Pilota Militare del Ruolo Normale avesse già acquisito la “prontezza operativa” iniziale presso il Reparto di prima assegnazione. Per loro, invece, che fino a quel momento tanto “normali” non sembravano, quel traguardo nemmeno si profilava all’orizzonte come una concreta imminente prospettiva. All’epoca, già tre su 12, come se ispirati da fatalistica preveggenza, avevano bruciato quella tappa e pensato bene di assecondare prioritariamente il naturale corso della vita, convolando a nozze con largo anticipo. Ma anche gli Altri, che vollero rispettare fino all’ultimo quel prefissato limite prudenziale, capitolarono uno dopo l’altro di fronte all’indeterminatezza dei tempi aeronautici verso l’acquisizione della Qualifica Operativa, conseguendo almeno la loro “readiness” di Consorte Militare. Sta di fatto che due anni dopo aver lasciato Pozzuoli avevano la netta sensazione di essere rimasti intrappolati in una macchina del tempo: geograficamente, infatti, si erano spostati alternando Puglia e Lazio in località situate pressoché alla medesima latitudine (a Lecce e a Latina, con altri colleghi di corso; a Grottaglie e ora a Frosinone, solo loro “12”); “volando”, avevano percorso una sorta di progressione all’indietro, dall’MB326 al P166M e al T6 “Texan”, vivendo le epoche di appartenenza di quei destrieri alati attraverso le alterne mentalità dei loro rispettivi “allevatori”.
Sembrava, perciò, che fossero entrati in competizione con una dozzina di gamberi perché, come loro, pur muovendosi rimanevano immobili, più o meno fermi allo stesso punto e sempre distanti da quella meta impalpabile, che sembrava allontanarsi come un miraggio nel deserto.
Ora quel “pezzetto di Ibis” era giunto alla SVE, la Scuola Volo Elicotteri, per la “conversione” sull’ala rotante, ma dove venivano anche selezionati, formati e brevettati tutti gli allievi piloti ab initio delle altre Forze Armate e Corpi dello Stato di allora, con e senza stellette. Perciò, altro che “Università del Volo”, al pari della SCIV, avrebbe potuto vantare quella Gente che aveva accolto quei “ragazzi” con rispetto, pacatezza e cordiale disponibilità. Invece, nessuna traccia di alterigia o vanagloria affiorò mai in quei personaggi durante i 15 mesi che gli “Ibissini” trascorsero presso quel Reparto alquanto misconosciuto, almeno allora, principalmente all’interno della F.A.
… “Multum In Parvo” (Molto in Poco) …,
mai un motto si rivelò essere più “azzeccato”!!!
Quel conciso aforisma calzava a pennello con la poca appariscenza ed imponenza dei mezzi a disposizione, con quella logistica essenziale e con la dimensione limitata della stessa base; un piccolo scrigno, fidato custode di una preziosa e peculiare attività, nata già agli inizi degli anni ’60.
In quell’ atmosfera accogliente ed altamente professionale, quei “XII” stavano per iniziare la loro “roteante avventura”; ancora una volta … facevano gavetta …, ma stavolta quell’apprendistato era d’obbligo ed inevitabile perché il nuovo mezzo era concettualmente diverso da quelli pilotati sino ad allora. Se ne resero subito conto già a terra, durante le prime lezioni di Meccanica del Volo e di MTU. Quell’elicottero, segnatamente differente dall’aereo per struttura ed impiantistica e per nessuna somiglianza con un qualsivoglia tipo di volatile, al primo impatto apparve loro come una artificiosa “miscellanea” di spare parts messe più o meno ordinatamente insieme dalla sola inventiva dell’uomo, capaci però di sviluppare forze, coppie e momenti insospettabili in apparente precario equilibrio fra loro, che consentivano di tracciare nell’aria traiettorie “impensabili” che nemmeno in natura molti uccelli riuscivano ad inventare: verticali, all’indietro, laterali, oblique, a spirale e combinate fra loro, sia in piano che tridimensionalmente.
Quella macchina volante possedeva una forte parentela con la matematica, la fisica e la meccanica piuttosto che con la natura e, benché a prima vista apparisse parecchio stravagante, non si poteva fare a meno di guardarla con crescente orgoglio come a … un’idea veramente originale!!!
Si poteva … volare stando fermi, sia a pochi centimetri da terra che a quote considerevoli, come pure ruotare su sé stessi nei 360°. Furono “tranquillizzati” che, una volta in quota e con velocità di traslazione, l’elicottero si sarebbe comportato quasi come un aeroplano, bastava chiamare “ciclico” la cloche, “collettivo” la manetta e “pedaliera” la … pedaliera, un’omonimia non solo di nome ma anche di fatto, nonostante su quella macchina così diversa i pedali comandassero delle pale e non più una superficie aerodinamica. Parimenti, per l’impostazione e la visualizzazione degli assetti di volo bisognava dimenticare il piano alare e l’asse longitudinale del velivolo, ma occorreva, invece, riferirsi alla posizione sull’orizzonte di quel disco rotore che si aveva sulla testa, disegnato dall’estremità delle pale in rotazione, appesa al quale a mo’ di pendolo c’era la fusoliera, con gli effetti che da ciò scaturivano.
… Insomma, sarebbe stato un
diverso modo di … stare per aria!!!
Quell’esperienza “battesimale” l’avrebbero fatta sull’AB47G2, una macchina dall’aspetto comico e all’apparenza innocuo, ma robusta e non facile da domare; quell’ elicottero inglobava in sé tutta l’essenza del volo ad ala rotante e proponeva ai neofiti, in forma addirittura amplificata, l’intera gamma delle peculiarità e delle difficoltà di quella tipologia di volo: era un … primitivo!!! Si diceva che dopo aver imparato a pilotare il “G2”, si potesse pilotare all’impronta e con immediata facilità qualsiasi altro elicottero, ma non era vero … il contrario!!!
La sua cabina, ottenuta scaldando e “gonfiando” una lastra di plexiglas, sembrava una bolla di sapone per bambini; il vano motore e la trave di coda, simile a un piccolo traliccio dell’alta tensione, erano “a giorno”. Quella macchina sembrava “nuda”, le si … vedeva tutto, e perciò specialisti e piloti ne erano infatuati, perché suo malgrado si concedeva facilmente per le ispezioni e i controlli di rispettiva competenza. Per il resto faceva la difficile ed era alquanto bisbetica, perché non offriva niente che facilitasse il pilota per la sua condotta. Nessun trim, a parte un discutibile servocomando idraulico per alleggerire il movimento del solo comando ciclico. Neanche dal cruscotto sarebbero giunti “aiuti” che … semplificassero la vita: una colonnina verticale posta al centro della parte anteriore della “bolla di sapone”, sulla quale si “stampavano” soltanto l’anemometro, l’altimetro e la strumentazione essenziale relativa al motore, al rotore e agli impianti elettrico e radio. Unico strumento di navigazione era l’eterna e immancabile bussola magnetica, che su quel mezzo girevole era costantemente in movimento e di difficile consultazione. Nient’altro!!! Tutto avveniva guardando fuori: era il Volo a Vista puro!!! Né possedeva particolari automatismi (governor) per il controllo della potenza e per il mantenimento della costanza dei giri del rotore; a quell’incombenza doveva provvedere il pilota. Sul “G2”, infatti, c’era la cosiddetta manetta del gas, posizionata sulla stessa leva del collettivo, la quale era un vero e proprio quarto comando di volo che il pilota doveva azionare con estrema coordinazione ad ogni lieve variazione di collettivo, e quindi dei giri, per mantenere gli aghi motore/rotore sempre accoppiati e in “arco verde”. Pertanto, il pilota non era solo il pilota, ma anche l’interfaccia uomo-macchina, era parte del sistema: era lui il governor; senza di lui mancava un pezzo e quell’ attrezzo non solo non poteva volare, ma non poteva nemmeno “funzionare”.
E venne il … giorno!!!
Anche l’attività di volo ebbe finalmente inizio. Un altro “pre-solo”, il primo dei tre previsti sulla terna di macchine su cui allora si sviluppava il programma per l’Abilitazione Basica Elicotteri (“G2”, AB47J e AB204B). Altri decolli e MIX soliste, ma in ambienti e condizioni di volo differenti; era allentante il pensiero di riassaporare l’atmosfera del pinguino ha messo le ali, anche se lì trattavasi di … pale, ma stavolta da allievi con una “scorza” un po’ più dura. Infatti, quei giovani Tenenti, già giudicati anziani in … “secondo grado” in quel Reparto dove le promozioni si ottenevano piuttosto a rilento, se da un lato si presentarono al battesimo in linea di volo gasati e con l’emozione e l’ansia accumulate nell’attesa di quel fatidico momento, dall’altro erano “freddi” e risoluti, decisi a ben figurare per difendere ancora una volta il buon nome della categoria, unica nel suo genere, di “Piloti Militari semplici“, … ad oltranza “sine titulo” per essere impiegati.
Con sorpresa constatarono che una volta tanto anche in AM teoria e pratica coincidevano: come già preavvisati in aula, anche per il Pilota Militare, benché già avvezzo a volare, le difficoltà cominciavano da subito, quando ancora si era al parcheggio e si tentava di staccarsi da terra. Per non parlare, poi, della sosta ai quadrati di manovra dedicati, dove ci si allenava ad effettuare l’intera gamma delle manovre in effetto suolo. Erano momenti di “sperimentazione diretta”, sbagliando si impara, l’unico metodo efficace per apprendere veramente. Erano, perciò, anche momenti spesso concitati, dove reazioni istintive ed esagerate, tardive o del tutto inadeguate alla congenita “anarchia” e “disobbedienza” di quel mezzo, generavano danze improvvisate tra zero e 4÷5 metri di altezza con coreografie sovente a spirale in salita e in discesa, accoppiate a pericolose traslazioni all’indietro o laterali, quando ci si “intrecciava” nell’uso dei comandi e si usava irrazionalmente la pedaliera al posto del ciclico e viceversa. Del resto, il nominativo radio in uso alla Scuola parlava chiaro: avvertiva che … si sarebbe ballato!!! Non era di quelli altisonanti e baldanzosi come il “drago” della SCIV, di cui da Piloti “assegnati”, pur non essendo Istruttori, si erano indegnamente ammantati fino a qualche mese prima, ma semplicemente … SAMBA!!! Una danza nata in Brasile fra gli schiavi africani deportati, battezzata unendo due esclamazioni indigene, sam (“paga!”) e ba (“ricevi!”).
E, infatti, quel “ballo” era proprio il dazio da pagare per ricevere, la … forca caudina da attraversare per conquistare la piena abilità nel governare quel mezzo, smettendo di concentrarsi più del dovuto sulla coordinazione manetta-collettivo e dando frequenti occhiate “dentro” al tachimetro doppio. Perciò, ci si rendeva conto di essere padroni della situazione quando si controllavano i giri non più “ad occhio” ma ad “orecchio” e che lo sguardo spaziava solo fuori; quando ci si accorgeva che un altro organo del corpo, normalmente deputato a necessarie ma poco nobili funzioni, cominciava ad “intromettersi” con prepotenza nella percezione di ogni tendenza della macchina, soprattutto con vento significativo e turbolenza. Quella macchina era capace di stravolgere i sensi:
… si cominciava a “vedere” con le orecchie e
a “sentire” con il c …lo!!!
A Dio piacendo, il Gruppo Ibis portò a compimento quel primo approccio col mondo dell’ala rotante, facendo conoscenza con la “fuorviante” manovra dell’arresto rapido, che altro non era che un esercizio in quota per sviluppare la coordinazione, e la tecnica della Navigazione Osservata, per potersi muovere in assenza di qualsiasi strumentazione a bordo. Impararono ad eseguire decolli e atterraggi “strisciati” per operare in carenza di potenza e senza un carrello ruotato. Assaggiarono il volo su acqua sul glorioso idroscalo di Vigna di Valle due anni prima che vi venisse inaugurato il Museo Storico dell’AM. Effettuarono attività di volo in montagna, sperimentando il degrado delle prestazioni del motore e del rotore dell’elicottero con la quota e la rarefazione dell’aria; provarono l’ebbrezza del volo notturno, seduti in quella fioca “lampadina” che pur si stagliava nel buio del cielo con la sgradevole sensazione di non poter controllare costantemente il terreno sottostante, come ormai da sana abitudine acquisita sul monomotore. Anche il volo in formazione suscitò particolari sensazioni, potendo “guardare” il leader dall’alto in basso, perché i gregari dovevano volare positivi. Quella fase si concluse prima di quanto avessero immaginato, volando con una inaspettata continuità durante una flessione nell’attività programmata della Scuola.
Quell’ apparente benevola circostanza era destinata a ripetersi anche in seguito per l’addestramento sullo Jota e sul 204, per cui nell’arco di quindici mesi si alternarono momenti di intensa attività in volo e pause di riflessione a terra. In quell’atmosfera di famiglia, quei “frequentatori in FEO” non vollero pensare nemmeno lontanamente che fossero stati considerati solo dei tappabuchi, ma preferirono credere che fossero stati prescelti per la sperimentazione di un innovativo metodo didattico, basato sull’iniezione di dosi massicce di addestramento e momenti di convalescente inattività, per consentire alla mente un loro lento rilascio in quel “fetale” organismo di futuri piloti di elicottero in gestazione: proprio non se la sentivano di muovere addebiti a quella Gente che stava facendo per loro il meglio che poteva!!! Erano e si sentivano parte del “quadro permanente”; anch’essi indossavano il distintivo di Reparto, per cui nelle attese non sprecarono il loro tempo, ma parteciparono attivamente alla vita della Scuola in tutte le sue sfaccettature, istituzionali e non. Ma durante quelle pause terrestri non persero mai di vista il perché erano lì, a Frosinone.
Continuarono a frequentare assiduamente il Gruppo Volo, il 208ttimo, per documentarsi sui successivi “passi addestrativi” e preparandosi anche da autodidatta, imbarcandosi quando possibile da PAX sullo Jota e sul 204. Si rendevano disponibili a “portare gli elicotteri dalla Linea al SEV“, l’allora Sezione Efficienza Velivoli: un modo per tenersi allenati almeno alla condotta del mezzo in effetto suolo, mentre si risparmiava tempo e si evitava di impiegare un trattorino e due tecnici per trasferire una macchina via terra. E così venne anche il momento dell’AB47J; fondamentalmente un G2 travestito, perché aveva la cabina di pilotaggio parzialmente chiusa e il vano motore e la trave di coda carenati. Ancora lavoro di manetta-collettivo, ma con degli strumenti in più sul cruscotto, che permisero di effettuare anche il volo strumentale basico, ove la “tendina” veniva realizzata combinando l’arancione degli schermi rhodia e il blu degli occhiali, come sul piaggione.
Infine, la … turbina!!!
L’ AB204B; tutt’altro rumore, altra musica, esprimeva potenza, senza offesa verso i due cugini a scoppio, per i quali nutrivano affetto e sentita gratitudine per l’imprinting che erano in grado di infondere nel neo-pilota di ala rotante: infatti, constatarono di persona che era veramente facile pilotare altri elicotteri, nel loro caso il 204, dopo l’esperienza sui due “47”. Per giunta, nessun problema nell’uso del collettivo per il controllo dei giri, perché ci pensava un sistema elettronico; in caso di avaria al “computer”, come si diceva in gergo, con la necessità di operare in manuale, si sentivano già capaci e rodati nel gioco manetta-collettivo. I tre comandi di volo erano idraulicamente servoassistiti e c’erano persino i tergicristalli in caso di pioggia, un ADF se si fosse smarrita la strada di casa e due radio, VHF e UHF, per invocare aiuto; cos’altro pretendere!?! Approcciarono alla tecnica di impiego del verricello e del gancio baricentrico e ricevettero i primi rudimenti di crew coordination. A fine corso, quelle due attività, unitamente al volo in montagna a quote elevate e, in concomitanza della stagione invernale in atto, in ambiente innevato, furono rimpolpate e costituirono una sorta di addestramento pre-operativo, un training fuori programma, visto che il 15° Stormo ancora non si dichiarava pronto ad accoglierli.
Finalmente, con la primavera del ’76 “sbocciò” anche il trasferimento a Ciampino: l’agognata assegnazione al Reparto di Impiego. Finalmente anche loro si sentivano “Regolari”, come il resto dei colleghi di Corso, che dopo le scuole di volo avevano raggiunto da subito i loro Reparti, benché alcuni fossero al top, altri nello standard ed altri ancora in sofferenza o in fase di riorganizzazione.
Non sembrava vero!!!
Infatti, poco dopo si ritrovarono presso la Scuola di Lingue Estere dell’AM a frequentare un corso di Inglese di due mesi. Ebbene, a modo loro e con lo spirito di sopravvivenza che li distingueva, fecero “in allegria” anche quello, ma poi non ci furono più scuse: anch’essi cominciarono la loro attività di volo, piccola a piacere, ma volavano, per quanto la situazione degli elicotteri in linea, Jota e 204, fosse critica e l’HH3F ancora assente. Tra incarichi a terra, ritaglio di una Sala Piloti nei pochi spazi disponibili all’85°, turni di affiancamento all’RSC, confezione del pacco viveri in hangar per “affrancarsi” dai disservizi del Magazzino della Base “ospitante” e corsetti vari presso Enti Militari di Roma e dintorni, conseguirono il PI SAR ed operarono in missioni di allarme reale con l’AB204B. A Frosinone avevano ricevuto una “buona scuola” e non ci volle molto ad armonizzarla con le tecniche SAR, insegnate da “anziani piloti” che, avendone viste tante, porgevano coerenti ed attinenti esperienze vissute più che le sole basi teoriche.
Lezioni indimenticabili, soprattutto quelle improvvisate che avevano come docenti “antichi” ed ancora entusiasti Marescialli Piloti che, con il corpo e con la mente, proprio non ne volevano sapere di andare in pensione; l’aula era spesso la ringhiera del ballatoio sopraelevato in hangar, fra il frastuono delle attività manutentive sottostanti e i decolli del traffico commerciale e militare sulla pista antistante. In quel modo attesero l’arrivo del primo “HH”, l’ONDA 15-02 (12 agosto 1977), scortato dal Veterano AB204B, per assicurarsi che … arrivasse veramente … al 15° Stormo. Poi il gruppo dei 12 cominciò a frammentarsi: una metà partì malvolentieri per Firenze per l’ineludibile Corso Normale alla SGA, mentre altri iniziavano di lì a poco l’MTU del “Nuovo Venuto”; un paio abdicarono per il neocostituito 31° Stormo e un altro ritornò in terra natia all’ala fissa nell’Agro Pontino.
Chi prima e chi dopo tutti conseguirono le loro qualifiche operative ognitempo su quel “bolide anfibio” e più tardi, con l’apertura in successione dei primi due Centri SAR di Rimini e Brindisi, si determinarono altri “sparpagliamenti”. Ma a fine novembre del 1980 tutti gli Ibissini SAR si ritrovarono in area campano-lucana per portare soccorso alle popolazioni colpite dal sisma in Irpinia e, a seguire, in Aspromonte per alleviare i disagi di quelle in balia del grande freddo di gennaio-febbraio del 1981. Un banco di prova unico, dove la “perizia” acquisita in addestramento e nelle MIX reali, definibili standard, venne generosamente spinta a fin di bene ai limiti massimi del consentito e dell’inventiva operativa, con tanti inconvenienti tecnici, ma senza alcun incidente. L’intero Stormo ne uscì consapevolmente “fortificato” e pronto per altri balzi in avanti: impiego Antincendio, sperimentazione dei primi NVG, proiezione verso il Combat SAR. Per chi ebbe l’opportunità di “vivere” anche quei progressi, fu un bel momento, non solo professionale ma anche di vita, dopo quel precedente “pellegrinaggio addestrativo” per arrivarci. Il tempo passò e qualche grado arrivò; momenti di decisioni: dei 9 Mammajut “originali” solo sette rimasero allo Stormo. Uno scelse di abbandonare la divisa, ma continuò a “roteare” con gli elicotteri in campo civile.
Un altro “preferì” cimentarsi nell’arte di istruire, ritornando in Ciociaria, in seno a quella SVE che già una volta lo aveva amorevolmente adottato insieme a tutti gli Altri.
… il resto è storia, … aeronautica e individuale!!!
La “sporca dozzina” iniziale si era fisicamente dissolta, ma ad ogni incontro, casuale o di Corso, il filo invisibile dei ricordi e di quelle comuni … reminiscenze …, ad Ala Fissa e ad Ala Rotante, si riannoda in automatico e prende vita, ricomponendo il “dodici”, visi e fisionomie, e rinverdendo la genuinità delle sensazioni e delle emozioni di quegli indelebili momenti.