"Dedicato ad un amico"
di Mario Sorino
Giorni orsono, incontrando un amico, è capitato nel discorso il termine “al cadavere” ed allo sguardo un po’ incredulo e perplesso di altri astanti io e lui ci siamo guardati negli occhi ed ho detto: glielo spieghi tu o glielo spiego io?
Alla fine glielo abbiamo spiegato insieme, perché anche questo è: fare equipaggio.
Per chi ha frequentato il 15° Stormo negli anni di Ciampino, anni d’oro, il titolo strapperà un sorriso e porterà alla mente una serie di meravigliosi ricordi………….e che ricordi.
Per gli altri, quelli che non hanno frequentato quei lidi e “vissuto” quegli anni, è indispensabile una spiegazione.
In quel dell’Aeroporto di Ciampino il 15° Stormo era posizionato in due hangar dell’area sud, quella che ora credo sia totalmente civile. Forse sto vivendo una visione, ma percorrendo la Via dei Laghi mi sembra che si veda ancora, sul frontale dell’hangar maggiore, la scritta 15°.
Bando comunque alle chiacchiere ed alle nostalgie e veniamo ai fatti. Quelli erano anni in cui l’attività era intensa. Due equipaggi d’allarme, uno pronto in 30’ ed uno in 120’. Turni d’allarme di 24 ore con inizio del servizio alle ore 21.00. Sospendere l’allarme era un termine introvabile nel dizionario del 15° Stormo. Il significato di quell’ipotetica eventualità lo si poteva trovare alla voce “eresia” oppure “evento irrealizzabile”. In pratica il tempo che si trascorreva in aeroporto era veramente tanto. La mensa non era delle migliori, per capirci non era quella dei tempi d’oro di Rimini o di altre basi aeronautiche “più nobili”, per cui si cercavano buoni sapori presso altri siti.
La ricerca nell’intorno dell’aeroporto, in posti raggiungibili in pochi minuti e, viceversa, che consentissero di tornare in aeroporto nello stesso ristretto tempo, fu condotta dai soliti buongustai e con il giusto occhio al portafoglio.
In pratica quello che si cercava era la classica trattoria. Ed alla fine fu trovata.
Proprio su Via dei Laghi, a pochissimi minuti dall’aeroporto, c’era quello che faceva al fatto nostro. Conduzione familiare, in cucina l’anziana mamma, minuta, ed il figlio, di dimensioni opposte a quelle della mamma. In sala sempre lo stesso cameriere, che dopo averti servito un paio di volte imparava i tuoi gusti. In pratica ti facevano sentire proprio a tuo agio e, naturalmente, si mangiava bene e si pagava il giusto.
In sala un’unica nota stonata: ad una delle pareti, invece di un quadro, una foto, un ninnolo, spiccava la foto dell’anziano proprietario del locale, passato a miglior vita, con tanto di altarino e lumi votivi.
Come avrebbe detto Totò “tre mazze ‘e rose cu ‘na lista ‘e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine”. Non so chi ebbe l’ispirazione, il colpo di genio, fatto sta che quella particolare presenza in sala, che poteva essere soprannominata ché so: la lapide, il defunto, il loculo, fu invece, con macabra comicità, presto battezzata “il cadavere”.
Da allora, vuoi per la disponibilità dimostrata nei nostri confronti, vuoi per la comodità della vicinanza con il luogo di lavoro, vuoi anche per il fatto che veniva consentito ad alcuni nostri “Maestri” persino l’ingresso in cucina ed il suggerimento di alcune ricette, “al cadavere” divenne il punto di incontro fisso dove si svolgevano tutte le cene del Gruppo e del Reparto. A volte “al cadavere” veniva requisito attraverso la prenotazione di tutti i posti disponibili per organizzare addii al celibato o addii all’A.M., con annesso spettacolo. Divenne un luogo così familiare che ci si andava a pranzo o a cena anche con le famiglie, un po’ la succursale del Circolo.
Nei vari passaggi di proprietà della sua vita venne persino acquistato da personale ex dello Stormo andato in pensione. Ora è lì, sempre su Via dei Laghi. Non so che nome abbia e non so se viene ancora frequentato da qualche nostro ex. Lo spostamento dello Stormo a Pratica di Mare decretò, nel tempo, l’interruzione di un connubio durato quasi un ventennio. Al “cadavere” sono legate alcune delle più belle storie che vengano raccontate nei nostri incontri dai soliti menestrelli.
Credo che noi siamo gli unici, e non me ne meraviglio affatto, che quando pronunciamo la parola “cadavere” le labbra assumono il classico tratto all’insù di chi sorride e gli occhi ci luccicano di gioia.
……………………….tempi che furono…………………… Fiuuu, firifuuu!!!
Mammajut